Il governo burkinabè ha adottato un disegno di legge che stabilisce le condizioni per concedere l’amnistia ai responsabili del colpo di Stato del settembre 2015, che sono perlopiù militari. Lo si apprende da una nota ufficiale del governo.
Il ministro della Giustizia e dei diritti umani, responsabile per i rapporti con le istituzioni. Edasso Rodrigue Bayala, ha spiegato in una conferenza stampa che la volontà del governo è quella amnistiare i militari coinvolti negli atti del fallito colpo di Stato, tenutosi tra il 15 e il 16 settembre 2015, che hanno dimostrato “impegno” nel teatro della lotta al terrorismo. Secondo Bayala l’amnistia aumenterà “l’impegno e il senso di sacrificio” dei beneficiari: “I confinamenti sistematici non sono una buona politica penale”, ha detto il ministro, spiegando che la visione è quella di una “giustizia riparativa e non che punitiva”. In base al provvedimento di amnistia la pena sarà immediatamente cancellata, permettendo agli ex-condannati di beneficiare nuovamente anche degli scatti di carriera all’interno delle Forze armate. Solo eventuali danni economici, riconosciuti dal tribunale nella sentenza di condanna, non vengono amnistiati e dovranno essere comunque riparati.
Il 15 e 16 settembre 2015, mentre il Burkina Faso si prepara ad organizzare le elezioni per porre fine al periodo di transizione iniziato dopo la caduta dell’ex presidente Blaise Compaoré, i soldati vicini a quest’ultimo e guidati dal generale Gilbert Diendéré hanno cercato di rovesciare le autorità. Durante gli eventi di quei giorni si registrarono circa 15 morti e più di 250 feriti.
Nel 2019 più di 80 persone, principalmente soldati e politici, sono state arrestate e poi condannate dal tribunale militare del Burkina Faso per atti relativi ad “attacchi alla sicurezza dello Stato” e altri reati: i generali Gilbert Diendéré e Djibrill Bassolé, accusati di essere i principali mandanti del colpo di Stato, furono condannati rispettivamente a vent’anni e dieci anni di carcere. Diendéré è ancora detenuto mentre il Bassolé vive in esilio in Francia. Tra i vari condannati, alcuni hanno scontato la pena e si sono uniti alle unità di combattimento o sono tornati nei ranghi come militari, partecipando in modo attivo alle operazioni di riconquista del territorio. Altri hanno presentato ricorso e sono ancora in attesa di processo.