L’affluenza alle presidenziali burundesi sono stati fra il 70 e l’80%, dicono le fonti governative. A 24 ore dalla chiusura dei seggi, il presidente uscente Pierre Nkurunziza può già stappare la bottiglia. Difatti, essendo praticamente l’unico a correre per le presidenziali (insieme ad altri candidati di partiti minori e comunque vicini al Cndd-Fdd, il partito al potere) e boicottato dall’opposizione, si trova già largamente in vantaggio. I risultati sono previsti per venerdì pomeriggio. Già oggi però, il conteggio è terminato nei Comuni di tutto il Paese e le urne, aperte in comissariati o caserme per sicurezza, sono state portate a Bujumbura per la pubblicazione dei risultati parziali. Sorprende il dato ufficiale di partecipazione alle elezioni /70-80%), dal momento che il Ceni (Comitato elettorale nazionale indipendente) martedì aveva lamentato la scarsa affluenza. In alcuni Comuni, come ad esempio Ijenda (nel centro del piccolo Stato africano), ha votato meno del 3% della popolazione. In altri, come ad esmpio molti quartieri della capitale, i seggi non sono stati nemmeno aperti. E questi pochi esempi possono spiegare quanto le elezioni possano essere credibili.
Martedì, il giorno del voto, il clima era molto teso. I negozi sono rimasti chiusi, le strade deserte sembravano quelle di una cittadina di un film western americano e gli unici in giro erano i giovani che, con pietre e o scavando fossati, cercavano di impedire alle jeep dell’esercito e della polizia di entrare nei quartieri. A Nyakabiga per esempio, uno dei quartieri di Bujumbura in cui si concentra un maggior numero di oppositori e dove sono iniziate le rivolte il 26 aprile (dopo l’annuncio della ricandidatura del presidente), i giovani hanno sparso pietre sulla strada e hanno scavato trincee all’entrata del quartiere. Nella mattinata, un cadavere di una persona appartenente all’opposizione è stato trovato morto. «L’hanno portato qui i servizi segreti apposta per accusarci», hanno urlato alcuni giovani, intenti a parlare con poliziotti armati di AK-47. «Queste elezioni sono una grande farsa, il popolo non vuole più Nkurunziza. Non permetteremo a quell’assassino di governarci per una terza volta», ribadiscono. La sera si sono sentiti alcuni spari, ma la polizia ha ricevuto l’ordine di non sparare , durante i giorni del conteggio dei voti. Aspettano solamente l’ordine di cominciare a sgomberare l’area.
Mercoledì mattina la città ha ripreso a vivere. I negozi e gli uffici hanno ricominciato a funzionare normalmente, come anche il traffico. La popolazione però, teme sempre le rappresaglie delle forze armate. Nessuno vuole parlare delle elezioni, anche se qualcuno si apre con i giornalisti. Mister K, un ragazzo di 17 anni cresciuto a Nyakabiga, racconta le sue esperienze come manifestante e come prigioniero dei servizi segreti . «Mi hanno picchiato con ferri roventi e bastoni. Poi mi hanno strappato le unghie dei piedi. Volevano che parlassi. Dopo un mese di torture mi hanno rilasciato. Sono pronto a morire piuttosto che vederli governare ancora», dice sicuro di sé. Per parlargli, ci siamo dovuti nascondere in un luogo sicuro. Quando ci ha lasciato, non ha voluto che lo seguissimo. Si è dileguato all’interno delle vie del suo quartiere. Questa è la reazione della maggior parte della gente. La paura li governa. Sanno che se parleranno con un muzungu (un bianco), la gente potrebbe vederlo e rischierebbe la morte.
Il principale oppositore del presidente, Agaton Rwasa, ha esortato Nkurunziza «a partire per il bene del Paese perché non ha vinto, ma ha semplicemente perso dal momento che il popolo non lo appoggia più». Dall’altro canto, il portavoce del Presidente ribatte: «Le elezioni si sono svolte in maniera legittima. Non ci interessa quello che pensano all’estero. I burundesi hanno votato in maniera legittima e bisogna quindi rispettare questa volontà».
Insomma, il futuro del Paese rimane incerto. Si pensa già al peggio, con alcune milizie pronte ad invadere il Paese dal Ruanda per liberarlo. Ma si spera anche, come Rwasa ha dichiarato, che le negoziazioni, interrotte alcuni giorni fa, possano riprendere. Sia l’opposizione sia il partito al potere si accusano a vicenda, ma chi veramente ne soffre è il popolo, che lotta ogni giorno per vivere. Nkurunziza da venerdì non potrà certo rilassarsi. Il Burundi per ora rimane con il fiato sospeso e la crisi comincia a dissanguare la debole economia e la stabilità del piccolo Stato dell’Africa orientale.
Filippo Rossi