Fra tre mesi e mezzo, il 20 maggio, si terranno in Burundi le elezioni presidenziali, oltre a quelle politiche e amministrative. L’attuale presidente Pierre Nkurunziza, in carica dal 2015 con un mandato incostituzionale – salvo poi a “sanare” la situazione e a spianarsi la strada, con il referendum del 2018, anche per un quarto mandato, per di più non più quinquennale ma settennale –, ha infine deciso, come abbiamo a suo tempo riferito, di non ripresentarsi. Rimaneva da capire chi avrebbe rappresentato il partito di governo, il Cndd-Fdd, una formazione di ex ribelli a base hutu (il Paese era stato governato dalla minoranza tutsi dall’indipendenza fino al 1993). Nell’ultima settimana di gennaio, l’annuncio: il testimone passa al generale Évariste Ndayishimiye (nella foto, con la moglie), segretario generale del partito da cui Nkurunziza si era fatto proclamare, due anni fa, «Guida suprema eterna».
Nkurunziza, 55 anni, deve aver valutato che rimanere un po’ nell’ombra gli converrà (c’è chi sostiene che ha avvertito la pressione popolare contro la sua ricandidatura). Dopo essersi assicurato la lealtà del suo partito, ha fatto votare una legge, passata in Parlamento quasi all’unanimità, che gli garantisce una prebenda di 500.000 euro, oltre a una «villa di alto standing da costruirsi su un terreno del demanio in una località di sua scelta entro i primi cinque anni». Godrà naturalmente di uno stipendio equiparato a quello di vicepresidente per i primi sette anni, ecc. A dire il vero, la nuova legge si applica a “tutti” gli ex presidenti burundesi in vita e futuri – purché siano stati eletti. Cioè al momento uno solo. Lui.
E non è tutto. Forse ancor più importante era mettersi al riparo di possibili iniziative future della giustizia, dunque «le disposizioni a tutela dell’onore, della dignità e dell’integrità fisica del capo dello Stato si applicano all’ex capo dello Stato». Se poi la Corte penale internazionale avesse qualcosina da ridire sul suo operato, Nkurunziza aveva già provveduto nel 2017 a ritirare il suo Paese dall’organismo giudiziario con sede all’Aia, che quindi non ha più il Burundi sotto la sua giurisdizione.
Quanto al nuovo designato, detto “Neva”, tutto lascia credere che si muoverà all’ombra del suo mentore. Non bisogna tuttavia escludere le sorprese, com’è accaduto altrove, per esempio in Angola, con il passaggio da José Eduardo dos Santos a João Lourenço (quest’ultimo ha, tra le altre cose, sguinzagliato la magistratura sulla figlia del suo predecessore, Isabel).
Per il momento, però, Iwacu, «uno degli ultimi media indipendenti del Burundi» – così definisce l’agenzia Afp in un suo approfondimento –, ha commentato con ironia la nomina. Gli è bastato riportare le prime parole di Neva in quest’occasione, naturalmente rivolte a Nkurunziza: «Eccellenza, a parte il fatto che lei è la nostra guida permanente, lei è il nostro Mosè». E, rivolgendosi ai congressisti del partito: «Lo sapete, la nostra Costituzione non gli vieta di continuare a essere presidente. Ma lui ha rinunciato. Gliene sarò riconoscente e devoto. È il mio maître à penser, lo imiterò».
Casualità o messaggio, quattro giorni dopo, il tribunale di Bubanza condannava a due mesi e mezzo di prigione e a un’ammenda di quasi 500 euro quattro giornalisti di Iwacu, testata fondata da Antoine Kaburahe.
Christine Kamikazi, Agnès Ndirubusa, Térence Mpozenzi ed Égide Harerimana erano già da ottobre detenuti in attesa di giudizio, assieme al loro autista, poi discolpato. Il loro reato: essersi precipitati da Bujumbura (la ex capitale, di recente sostituita con Gitega) sui luoghi dov’erano in corso scontri fra governativi e ribelli. Il WhatsApp scherzoso a un amico di uno degli inviati – «Andiamo ad aiutare i ribelli» – ha aggravato la situazione di tutti. Per condannare i giornalisti, i giudici, hanno dovuto invocare il curioso articolo 16 del Codice penale, che parla del «tentativo impossibile di attentato alla sicurezza dello Stato».
«Non cercate di capire – commenta Kaburahe in persona nel suo editoriale scritto dal Belgio, trovandosi da quattro anni in esilio –. Interpellati, molti specialisti di legge, burundesi e stranieri, sono stupefatti: dicono che, in mancanza di saper maneggiare il diritto, “i giudici di Bubanza sono molto creativi…”».
In calce a questa e a tutte le pagine online di Iwacu, il navigatore di internet legge: «A motivo della decisione del Cnc, non potete reagire a questo articolo né commentarlo». Cnc? “Consiglio nazionale della comunicazione – Il regolatore dei media in Burundi”…
I giornalisti di Iwacu soffrono anche per l’assenza di un altro collega: Jean Bigirimana, svanito nel nulla il 22 luglio 2016 dopo essere uscito per un reportage. Gli ultimi testimoni lo avrebbero visto salire a forza su un fuoristrada dai vetri oscurati.
(Pier Maria Mazzola)