Un libro che sarebbe un peccato passasse inosservato. Chi narra è una (ex) volontaria che mise piede in Africa la prima volta ancora minorenne (all’epoca la maggiore età era a 21 anni) e che poi con il Burundi ha stabilito una relazione quasi “ossessiva”, anche se non vi è vissuta che a intermittenza. Anche dall’Italia ha costantemente mantenuto i collegamenti, tenendosi informata e dedicandosi a informare e sensibilizzare l’opinione pubblica italiana sul “cuore dell’Africa”. Centrale, in questo senso, è stato il periodo in cui faceva parte del gruppo di AlfaZeta, rivista laica nell’orbita del mondo missionario attiva a Parma negli anni Novanta (e non a caso l’introduzione a questo libro è di Marco Deriu, all’epoca direttore).
Quel che emerge da ogni pagina è la passione davvero non comune che da quarant’anni lega l’autrice al Burundi, alla sua gente, alle sue vicende. Ed è bello che Ollari non tenga nascosto quello che è stato il detonatore di tale passione – anche se in realtà «da grande vorrei fare l’infermiera in Africa» lo aveva già scritto in un tema alle elementari e a 18 anni per lei le cose già andavano così in Kenya. Un detonatore chiamato Jean-Marie Ngendahayo, un burundese di discendenza reale, con cui scatta immediatamente un’attrazione in riva al Tanganica, e che per lei rimarrà a lungo, in modalità diverse (il «bel Watusso» sposerà una donna della sua terra), un punto di riferimento per la comprensione delle dinamiche burundesi. A parte il fatto di essere di sangue blu, anche Jean-Marie coltiva fin da giovane una passione: per la democrazia. E arriverà a essere ministro dell’Informazione nel governo di Ndadaye, il primo presidente democraticamente eletto (e primo hutu; assassinato dopo cento giorni), e poi dell’Interno nel primo governo Nkurunziza; ma ben presto si esilierà a motivo della via autoritaria ben presto imboccata da quest’ultimo: «Quello che Jean-Marie sta vedendo è l’esatto opposto di ciò per cui ha lottato».
Un altro personaggio burundese di rilievo per l’autrice è un prete, cui lei indirizza diverse, lunghe lettere, che figurano tra le pagine più pregnanti di questo libro “strano” per i diversi piani che vi si intersecano (sentimentale, politico, militante, riflessivo…). È a lui che confida un sentimento che ci pare rivelare molto del dramma (e non è a caso sceglie un’immagine teatrale) che si consuma nel cuore, nella testa e nella vita di Maria Ollari: «Non sarei mai più stata una spettatrice “che ignora”. Al tempo stesso non sarei mai potuta diventare un’attrice di quel teatro. Mi mancava la caratteristica essenziale: essere burundese. Non si può essere interpreti di una storia in cui non è previsto il nostro personaggio […] Rispetto a questo Paese non sono una spettatrice, ma neanche veramente un’attrice». Però, «alla fine sono diventata uno strumento per entrambi. Permettevo loro di comunicare fra i due mondi».
E poi tante domande, e anche convincimenti maturati nel tempo, come l’indifferenza dell’Occidente a quel che si consuma in quel Paese; la maggiore “abilità”, in Ruanda, a divulgare una «schematica rappresentazione etnica» che dava «risalto al grande riscatto finale e alla meritata vittoria finale dei Tutsi» («Quanto è vero che la storia è raccontata dai vincitori!»); gli atteggiamenti di fatto colonialisti di volontari e cooperanti; i tremendi, e tragici, (colpevoli) misunderstatements sulle parole “pace, “nonviolenza” “resistenza”, tanto da parte del potere politico come di troppi uomini di Chiesa… E molte altre “verità”, esposte anche con rabbia – sentimento che talora la abita e che l’autrice non teme di nominare.
E in tutto questo, un popolo umiliato, intristito, oltre che troppo spesso anche fisicamente così vittima. L’Epilogo ci porta quasi all’attualità, all’assassinio delle tre suore cui è dedicato un altro libro, Va’, dona la vita!, nella cui casa anche l’autrice ha soggiornato. Nel frattempo, le cose non sembrano affatto arrangiarsi per il Burundi (le prime novità del 2017 sono l’assassinio del ministro dell’Ambiente e la dissoluzione, da parte del governo, di Iteka, la più storica lega burundese per i diritti umani).
Infinito, 2016, pp. 171, € 14,00
(Pier Maria Mazzola)