Ancora oggi in Madagascar in molti indicano l’insieme dei popoli che abitano il Paese col termine malgascio «Ambanilanitra», che letteralmente sta per «quelli che stanno sotto i cieli». Per gli indigeni la propria enorme isola (la quarta al mondo per superficie) non aveva limiti, o meglio essi si mescolavano con quelli dell’universo.
Di limiti, al contrario, ce n’erano e ce ne sono tuttora nel movimento calcistico malgascio, che però il 16 ottobre 2018, a distanza di 60 anni – quasi esatti – dalla proclamazione dell’autonomia all’interno della Comunità francese giunta il 14 ottobre 1958, ha scelto di regalarsi una grande gioia: la prima, storica qualificazione della nazionale maggiore alla fase finale di una Coppa d’Africa.
Per raccontare quest’impresa abbiamo raggiunto al telefono il capitano della selezione isolana Faneva Andriatsima, attaccante 34enne che attualmente milita in Ligue 2 francese nel Clermont Foot 63. Ma facciamo un passo indietro.
In mezzo a varietà introvabili di flora e fauna, tra le più ricche della Terra, il pallone prese a rotolare tra le numerose comunità che compongono il mosaico etnico del Madagascar durante la dominazione francese. Anche se la Malagasy Football Federation vide la luce nel 1961, il primo incontro di una selezione malgascia risale al 1947 contro le Mauritius, nell’ambito di un triangolare isolano che comprendeva anche l’Isola della Riunione e che divenne una costante negli anni a venire.
La prima sfida sul continente africano contro il Burkina Faso, invece, è datata 15 aprile 1960, un paio di mesi prima della totale indipendenza dalla Francia. Da allora non molto è cambiato, e per ottenere risultati immediati la strada da perseguire era soltanto una. «Il calcio in Madagascar è ancora amatoriale. Per questo negli ultimi due anni, con l’arrivo di mister Dupuis, abbiamo condotto una ricerca capillare per rintracciare tutti i calciatori di origini malgasce presenti in Europa. È stata una scelta obbligata, dovevamo ottenere risultati e di conseguenza visibilità», afferma Andriatsima.
Ed è così che sono arrivati i vari Thomas Fontaine (difensore del Reims che disputò il Mondiale U20 del 2011 con la Francia al fianco di Koulibaly), Ibrahima Dabo (portiere di quinta serie che fino a un paio di anni fa militava in ottava divisione), Dimitry Caloin (capitano de Les Herbiers, finalista della scorsa edizione della Coppa di Francia) e molti altri calciatori provenienti in particolar modo dalle serie minori francesi.
Nessuno dei sopracitati porta con sé uno dei tipici cognomi chilometrici malgasci, su cui apriamo una breve digressione. Come osserva il linguista Rajaonarimanana, in Madagascar non esistevano cognomi patronimici trasmissibili di padre in figlio; nessuna etichetta, ma spesso una frase che esprime un desiderio, un augurio per un buon destino.
Lo stesso destino che sta accomunando la trentina di calciatori di origini malgasce che, secondo una ricerca svolta a ottobre 2017 dalla testata Midi-Madagascar, giocano attualmente all’estero (tra loro Jean Freddi Greco di proprietà della Roma e finalista all’Europeo U17 del 2018 con l’Italia). Nemmeno uno è sfuggito ai radar di Nicolas Dupuis, che grazie all’intercessione di Andriatsima e altri senatori, è riuscito a comporre un gruppo motivato a inserire l’isola di Madagascar sulla mappa del calcio. Non più per il celebre 149-0 prodotto nel 2002 dalla THB Champions League, il campionato nazionale malgascio, ma per successi esaltanti come il doppio 1-0 inflitto dalla nazionale A all’Egitto nel 1985 e nel 2002 o il terzo posto alla Cosafa Cup del 2015.
«La parola chiave all’interno del nostro gruppo è solidarietà. Tutti lottiamo per il nostro paese, anche chi, come i neo arrivati, lo ha appena conosciuto e parla solo francese», sottolinea Andriatsima che rifiuta l’etichetta di leader e ci tiene a precisare che, nonostante l’isola sia popolata da 18 gruppi etnici differenti più le comunità di arabi, indiani, cinesi ed europei, non hanno bisogno del calcio per sentirsi uniti. In Madagascar non c’è mai stata una guerra, rispettiamo la diversità e il calcio può solo aiutare a far risaltare tutto ciò».
Se il risultato finale spetta sempre all’allenatore e a chi scende in campo, è altrettanto evidente che la crescita repentina degli ultimi due anni è dovuta anche al gran lavoro svolto negli uffici della federazione. Non ci riferiamo, come insinuato da molti negli ultimi giorni, ad Ahmad Ahmad, presidente malgascio della Caf dal 2017 per 14 anni a capo della Fmf, bensì a Lova Rasamimanana, uno dei candidati alla presidenza della federcalcio del Madagascar.
Lova, che tra le tante attività è anche a capo del gruppo di tifosi della nazionale Alefa Barea, è stato colui che ha organizzato le amichevoli e contribuito a raccogliere la folla che ha sostenuto gli Zebù nel fondamentale pareggio per 2-2 contro il Senegal lo scorso settembre.
Lova presenta senza dubbio il programma più interessante e punta a vincere le elezioni che si terranno entro fine anno con l’obiettivo di andare oltre la qualificazione alla Can 2019. Il suo sogno è quello di entrare a far parte delle nazionali che inaugureranno il primo Mondiale a 48 squadre nel 2026 e per farlo ha posto l’attenzione su tre aspetti basilari.
Per prima cosa la rifondazione del campionato locale, ora una sorta di torneo in stile Champions League a cui partecipano le vincenti dei 22 campionati regionali; poi la decentralizzazione del potere federale per sviluppare tutte le zone dell’isola e la creazione di centri di formazione per non dover continuare a fare affidamento solo sui membri della diaspora.
«Sì, il contributo di Lova è stato fondamentale, ci ha supportato molto in questo percorso. Il suo programma è molto interessante ma non mi importa chi vincerà le elezioni. Il compito della federazione è quello di sviluppare il calcio in Madagascar, indipendentemente da chi è al comando, per far sì che questo non sia solo un fuoco di paglia e che possiamo arrivare ancora più lontano», conclude Andriatsima, fiducioso sul futuro della propria selezione, a oggi al 106° posto del ranking FIifa.
D’altronde gli arabi, al momento del loro insediamento in Madagascar, avevano rinominato questa terra con l’appellativo di «Luna» e per gli abitanti dell’isola i cui limiti si confondono con l’universo arrivare a toccarla è questione di un attimo.
Alex Cizmic
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