La regione orientale del Camerun, confinante con la Repubblica centrafricana (Rca), è quella meno popolata e meno sviluppata. Eppure il suo sottosuolo è ricco di materiali preziosi come oro e diamanti. Il Governo camerunense non concede facilmente i permessi per sfruttare il territorio. L’arrivo di più di 200mila profughi centrafricani, in fuga dalla guerra, e da bande armate o banditi che hanno approfittato del confine poroso e poco controllabile, ha però destabilizzato la zona.
Vicino a Batouri, cittadina a pochi chilometri dal confine, si trova una delle poche miniere della regione, quella di Bukaru. Tutto il villaggio vive grazie all’oro. A Kamembe, una frazione di Bukaru, si trova di fianco a fosse e mucchi di terra scavata sotto il sole cocente. Le casette in argilla spuntano qua e là. Ognuna di queste possiede una piscina che però non serve come svago. La sua acqua è rossastra ed è ricoperta di detriti. Qui si filtra la terra scavata, per trovare l’oro con «laveuses» (lavatrici), scivoli di legno posti in mezzo alla pozza per facilitare il lavoro.
«La gent
e può lavorare per 4 o 5 ore senza sosta e i turni sono di 10 ore», racconta un proprietario, osservando i suoi lavoratori nella fossa mentre scavano. Molte miniere sono proprietà di una o più persone che assumono lavoratori, pagandoli a ora (250 euro al mese). Il villaggio è surreale. Le macinatrici, che frantumano la terra prima della filtrazione, sono azionate da bambini piccoli. Gli adulti lavorano nelle piscine e nelle fosse ci vanno i ragazzini o i giovani.
A qualche chilometro da Kamembe si trova un’altra frazione di Bukaru completamente sperduta nella foresta. Qui la miniera è una grande buca adiacente a un piccolo villaggio, costruito interamente con foglie, e adiacente a una strada che sembra una pista di rally. Lo scavo ha un diametro di almeno 150 metri e al suo interno si trova un lago enorme. Una scavatrice si muove in lontananza.
I lavoratori scavano o si riposano ammucchiati sotto le «laveuses» più grandi per ripararsi dal sole. I rischi sono molti. Qualche giorno fa due persone sono morte sotto una frana e altre sono rimaste ferite. Il lavoro non è solamente duro, ma è anche pericoloso. Marcelin si avvicina sporco di fango. Ha 14 anni e ogni giorno percorre 60 chilometri per andare e tornare da Batouri. «Lavoro solamente due ore, perché al mattino vado a scuola. Quando finisco vengo qui, ma mi rimane poco tempo. Mio padre è morto e devo badare alla mia famiglia». Anche sua sorella lavora in miniera. Lui può reputarsi fortunato, almeno frequenta la scuola. Molti bambini vengono costretti dai genitori a lasciare i banchi per lavorare in miniera.
«La gente può solo sperare di sopravvivere con quello che guadagna. A volte trovano qualche grammo supplementare (retribuito circa 25 euro, molto meno del prezzo sul mercato internazionale) che permette loro fare un piccolo investimento. Ma difficilmente queste persone cambieranno la loro vita. Non sanno nemmeno dove finirà l’oro che trovano e non conoscono le regole del mercato internazionale. Sono totalmente sfruttati. Fanno un lavoro massacrante, possono morire, ma non frega niente a nessuno», racconta Robert, uno dei controllori di Felix, il capo del villaggio.
Insieme ad alcuni rifugiati centrafricani (che hanno trovato un piccolo impiego in miniera), la gente dell’Est del Camerun non è nemmeno cosciente della ricchezza che ha sotto i propri piedi. Una cosa è certa, se il Camerun ancora oggi riesce a mantenere la regione più o meno stabile, è anche grazie alla proibizione di scavare. I rumori che presto anche Boko Haram possa infiltrarsi attraverso questo confine spaventano Yaoundé.
Filippo Rossi