di Céline Camoin
È messa a dura prova l’unità nazionale del Camerun, che questo 20 maggio celebra 50 anni. Il contesto di questa importante ricorrenza è segnato da dissensi e incertezze. L’ultima, ma non meno importante, è data dall’improvviso viaggio del padre-padrone-presidente 89enne Paul Biya verso l’Europa – nel momento in cui scriviamo queste righe, non è chiaro se sia tornato o meno per le cerimonie – probabilmente per motivi sanitari, segnale forte che il collante che sta ancora tenendo insieme la nazione, sebbene con fatica e in maniera controversa, si sta inesorabilmente sciogliendo.
Il 20 maggio 1972 l’allora presidente Ahmadou Ahidjo chiese ai camerunesi di pronunciarsi sul passaggio da uno Stato federale, che comprendeva due entità federate, il Camerun occidentale, anglofono e il Camerun orientale, francofono, a uno Stato centralizzato, la Repubblica unita del Camerun. A cinquant’anni da questo passaggio, l’unità tra le due regioni anglofone e lo Stato centrale francofono è gravemente frammentata al punto da essere degenerata cinque anni fa in un conflitto armato alimentato da milizie separatiste radicali.
A cinquant’anni dall’iniziativa di Ahidjo, anziché parlare di unità consolidata, si fa quindi sempre più spazio nel dibattito pubblico l’idea di fare marcia indietro e di tornare a una forma federale, come ci spiega l’analista politico Aristide Mono, raggiunto telefonicamente dalla rivista Africa a Douala. “Siamo ormai davanti a una frattura aperta, in cui i secessionisti impongono una guerra allo Stato. Uno Stato che, dal canto suo, non ha ancora preso le disposizioni necessarie per ostruire le falle e mantenere anche solo una parvenza di unità”, deplora il nostro interlocutore.
Le soluzioni proposte sinora, in particolare attraverso la conferenza per il dialogo nazionale del 2019, secondo Mono non hanno trattato il fondo del problema, ovvero il sentimento di marginalizzazione diffuso nella comunità anglofona. In primo luogo rispetto alla ripartizione delle risorse, politiche, amministrative, culturali, territoriali. E benché i problemi non siano tra cittadini camerunesi anglofoni e francofoni, bensì tra gli anglofoni e l’autorità centrale, si percepiscono sporadicamente tensioni e sentimenti anti-francofoni da parte degli anglofoni, che si ritengono vittime di discriminazioni e accusano la comunità francofona di essere complice dello Stato.
“Non è chiaro se il federalismo sia la soluzione privilegiata dalle élite anglofone, anch’esse divise, ma possiamo osservare che in questo momento la componente dominante è quella del secessionismo, che a sua volta è diviso in armato e non armato”, osserva l’analista politico. All’opposto, troviamo gli unitaristi, rappresentanti del governo centrale, e in mezzo i promotori della decentralizzazione e quelli del federalismo.
Ma non è solo la questione anglofona-francofona a far traballare l’unità nazionale camerunese. Mosaico di 240 etnie, nel Paese si assiste anche a velleità tribaliste, spaccature e persino scontri violenti, come nel caso lo scorso dicembre di quelli tra i mousgoum e gli arabi choa nell’Estremo Nord.
“L’altro pericolo – osserva Aristide Mono – è lo scivolamento delle tensioni comunitari dal livello primario a quello secondario, ovvero dalla sfera del villaggio a quella politica”, come quando si assiste al privilegio di un’etnia rispetto a un’altra. Si possono dividere in quattro i grandi gruppi comunitari le popolazioni del Camerun: gli anglofoni, i nordisti, i baliméké (ovest) e i sudisti (regione d’origine del capo dello Stato, di etnia beti). Anche su questa base e sul principio di un certo ‘equilibrio’ dei poteri si dovrebbe teoricamente forgiare il futuro assetto dei vertici della nazione.
Per il momento, l’anziano e debole Paul Biya, al potere da 40 anni, non parla della propria successione né mostra di avere preparato il terreno. E anche per questo l’unità nazionale, senza il suo padre-padrone, rischia di volare in frantumi.
Foto di apertura: cerimonia di inaugurazione dell’edificio “Monument du patriote”, celebrata il 18 maggio. Il monumento è sormontato da due archi incrociati con un’altezza di quindici metri con l’insegna “Amo il mio Paese, il Camerun”