Camerun passione grande schermo: riaprono le sale cinematografiche

di Enrico Casale
cinema in camerun

di Paolo Caporali
Associazione Coe/Festival del Cinema Africano, d’Asia e America Latina di Milano

L’ultima sala a chiudere era stata l’Abbia, storico cinema di Yaoundé, nel 2010. L’anno prima il Wouri a Douala e l’Empire a Bafoussam. E così l’Africa in miniatura, com’è conosciuto da molti il Camerun, si era trovata d’un colpo senza sale cinematografiche, relegando lo spazio per il cinema al Centro culturale francese o a qualche autogestito cineclub di quartiere.

Eppure il Paese negli anni Settanta contava oltre trenta sale, un Fondo di sviluppo statale per il sostegno del cinema e si era aggiudicato l’Etalon d’Or al Fespaco (premio cinematografico assegnato in Burkina Faso) grazie al capolavoro «Muna Moto» di Jean Pierre Dikongue Pipa.

E negli anni ha partorito registi del calibro di Basse Ba Kobhio, Jean Pierre Bekolo, Jean Marie Teno, che hanno contribuito a un rinascimento culturale nel loro Paese. Fino agli ultimi spasmi, «Paris a tout prix» e «Blanc d’ Eyenga», non particolarmente degni dal punto di vista artistico ma perlomeno successi commerciali.

Il cinema è stato schiacciato dalla televisione prima, dall’avvento della pirateria poi, ma soprattutto da una strategia sempre più miope da parte del governo che ha smesso di sostenere la settima arte e al contempo ipertassava i gestori delle sale.

Ora un nuovo coraggioso tentativo imprenditoriale (non autoctono e con le spalle ben coperte del colosso francese Vivendi, dell’imprenditore bretone Vincent Bolloré, che ha quote azionarie in Tim e Mediaset a casa nostra) ha portato all’apertura di due sale a Yaoundé e Douala: enormi, moderne, con schermi colossali e spazi per eventi all’aperto. Non è un caso isolato, ma parte di un ampio progetto denominato Canal Olimpya che ha già toccato altre grandi città dell’Africa sub-sahariana.

Per ora non sembrano essere decollate e le scelte di programmazione hanno fatto discutere.  Ci saremmo accontentati della riapertura dell’Abbia o del Wouri, ma forse siamo troppo nostalgici e romantici. Speriamo di sbagliarci e salutiamo il ritorno dei cinema nell’Africa in miniatura.

 

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