Ha suscitato grande sgomento in Camerun la sparatoria che ha causato la morte di una donna e il ferimento di un pastore presbiteriano all’interno di una chiesa domenica scorsa, in piena funzione religiosa. Il fatto è accaduto nella regione del Nord-Ovest del Camerun, teatro di una guerra tra miliziani separatisti e forze del governo centrale.
“Il Comitato esecutivo del Sinodo della Chiesa presbiteriana del Camerun è profondamente scioccato dalla barbara tortura alla quale i figli di Dio sono sottoposti nel Nord-Ovest e nel Sud-Ovest per il quinto anno ormai”, si legge in un comunicato diffuso dalla Chiesa presbiteriana in Camerun. I protagonisti del conflitto stanno ignorando i numerosi appelli alla pace, “e questo ci preoccupa”, si legge ancora nel testo in cui il moderatore, reverendo Fonki Samuel Forba, ricorda che le prime vittime di questo conflitto sono i civili, presi di mira da entrambe le parti. “Subiscono le giornate di chiusura totale, rapimenti, arresti e detenzioni arbitrari, uccisioni, privazione dei diritti elementari all’istruzione”.
Il comunicato riferisce inoltre che a Bali, area dove si trova la chiesa di Ntanfoang teatro del dramma, vige un divieto di circolare in macchina, che costringe la popolazione a percorrere lunghe distanze a piedi, anche per ragioni mediche o per acquistare cibo.
La versione dei fatti riportata dal reverendo Forba, in base alle testimonianze dei presenti, è la seguente: il pastore, nonché segretario presbiteriale locale, stava celebrando la messa quando si è sentita una pesante esplosione fuori dalla porta, seguita da intensi colpi di arma da fuoco. Alcuni di questi spari sono entrati nella chiesa, andando a colpire il reverendo Voma Simon Montoh, attualmente ricoverato per la ferita, e una fedele, Grace Titalabit, rimasta uccisa.
In rete, dopo la diffusione delle immagini dell’accaduto, sono circolate accuse sia ai miliziani separatisti che alle forze governative. Tali accuse hanno fatto reagire il ministero della Difesa, che lunedì sera in un comunicato – al quale ha avuto accesso InfoAfrica/Africa Rivista -“ha puntato il dito contro una “propaganda secessionista sostenuta da alcuni media e organizzazioni non governative nazionale e internazionali mediatica” e condannato la “diabolizzazione delle forze di difesa e di sicurezza”.
Secondo il resoconto dettagliato della Difesa, l’accaduto di Bali non è altro che un “fallimento di coordinamento fra elementi di una stessa fazione terroristica criminale ben identificata che semina terrore a Bali”, ovvero il gruppo Buffalo’s fighters od Bali, a cui fa capo il sedicente generale Grand Pa’a. Impegnati in un pattugliamento di routine, gli agenti si sono fermati al crocevia di Ntanfoang, non lontano dalla chiesa e dal palazzo di giustizia, “in una mossa che ha sorpreso i terroristi, che avevano posato mine in alcuni alcuni punti del passaggio della pattuglia”. Un ordigno sarebbe allora esploso prima del previsto, provocando un movimento di panico fra i passanti e i fedeli. Gli stessi terroristi, presi dal panico, “si sono rifugiati a gruppi in vari luoghi del posto, compresa la chiesa, e hanno iniziato a sparare all’impazzata, cercando di mirare alla pattuglia. Il comunicato precisa che le forze di sicurezza non hanno aperto il fuoco in risposta e afferma che le prime verifiche balistiche dimostrano che i proiettili e schegge di esplosivo ritrovate fanno parte dell’arsenale artigianale dei miliziani.