Con l’associazione LVIA è possibile contribuire a portare l’acqua a donne, uomini e bambini che oggi rischiano la vita e lasciano la propria terra per la mancanza di acqua: da oggi, domenica 17 marzo, al 31 marzo sarà infatti attiva la Campagna “Non ci sono più le mezze stagioni” per sensibilizzare il pubblico su quanto il cambiamento climatico stia già impattando sulla vita di tantissime persone nell’Africa subsahariana. (www.lvia.it)
Ogni anno le Nazioni Unite chiamano a celebrare, il 22 marzo, la Giornata Mondiale Mondiale dell’Acqua. La Giornata di quest’anno è dedicata al tema “Acqua per tutti”: un appello a continuare l’impegno per il diritto all’acqua, ancora negato a 2 miliardi di persone nel mondo che vivono senza acqua potabile in casa. In questo contesto, la relazione tra scarsità idrica e cambiamento climatico è forte.
“Non ci sono più le mezze stagioni: Acqua è Vita” è il titolo dell’azione lanciata dall’associazione di cooperazione internazionale LVIA per ricordarci che gli effetti del cambiamento climatico in alcune aree del mondo sono già drammatici. Come nell’Africa subsahariana, dove le siccità sempre più ricorrenti esacerbano la scarsità d’acqua, una delle prime cause di conflitti, crisi alimentari, migrazioni e, nel peggiore dei casi, morte.
LVIA è un’associazione con un importante impegno di 50 anni in molti Paesi dell’Africa subsahariana e che, con la sola Campagna “Acqua è Vita”, lanciata dall’associazione nel 2003, ha garantito acqua e servizi igienici a 1 milione e 600.000 persone. Presenti sul terreno, i volontari di LVIA vedono con i propri occhi le conseguenze del cambiamento climatico sulla vita delle persone. Alessandro Bobba, presidente di LVIA, spiega: «L’acqua è la prima risorsa attraverso cui sentiamo gli effetti del cambiamento climatico. Nell’Africa orientale, quindi nel Nord Etiopia, Nord Kenya e Somalia, le siccità stanno aggravando la scarsità idrica con effetti drammatici sulle già povere comunità». Bobba racconta come in queste aree del mondo, quando per molto tempo non piove, si perdano le fonti di sostentamento, che qui sono soprattutto pastorizia e agricoltura, e «le famiglie si impoveriscono al punto da non essere più autosufficienti. Tra i bambini aumentano i casi di malnutrizione e di malattie che possono aggravarsi fino a provocare morte o invalidità permanente. Non resta per queste persone altra scelta che abbandonare quella terra che non permette più la vita».
Il lavoro di LVIA e della cooperazione internazionale in queste aree di crisi climatica consiste nel supportare le comunità per affrontare meglio le condizioni climatiche avverse e la sempre più frequente siccità: «Operare per l’accesso alle risorse idriche, per lo sviluppo della pastorizia e di attività economiche in grado di sollevare le persone dalla povertà è la base delle strategie per impedire che le crisi climatiche si trasformino in crisi umanitarie» portando agli effetti sopra descritti.
Il Nord del Kenya, dove saranno devoluti i fondi raccolti con l’“operazione SMS” lanciata da LVIA attraverso il numero 45581, è classificato dalle Nazioni Unite come un’area affetta da carenza idrica cronica. Il fiume Ewaso Ng’iro, vitale per tutto il Nord-est del Paese, nei periodi più secchi è ormai ridotto a un torrente. Lo studio Economics of Climate Change Kenya, realizzato dallo Stockholm Environment Institute, pronostica un ulteriore aumento della temperatura media nel Paese accentuando il rischio di ulteriori siccità. Di questa situazione risente ovviamente l’economia (lo studio stima che il cambiamento climatico comporterà, per il Kenya, un costo, entro il 2030, equivalente al 2,6% del Pil) ma anche il livello di conflittualità: la pastorizia qui è l’attività principale e le comunità sono costrette a una sempre più pressante competizione per l’uso dell’acqua e dell’erba dei pascoli, risorse preziose e sempre più scarse. «Ne consegue che le persone emigrano – spiega Bobba –, si spostano in regioni limitrofe o Paesi confinanti, spesso nell’attesa di tornare a casa. Può poi accadere che, dopo questo primo livello, si spostino nella capitale e da qui si può arrivare a pensare all’Europa»
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