Territorio e urbanizzazione a cura di Federico Monica
di Federico Monica
Nel cuore della Mauritania due uomini dedicano la loro vita alla salvaguardia del patrimonio culturale e archeologico di antiche e affascinanti civiltà fiorite tra le sabbie del Sahara.
La capanna di frasche secche è sferzata dalla sabbia che ad ogni soffio di vento sembra infilarsi ovunque; sulla minuscola porta in legno monsieur Yslim, un elegante anziano vestito con una tunica celeste, invita ad entrare in quello che sembra poco più che un povero magazzino di attrezzi.
Gli occhi abbagliati dal sole implacabile del deserto impiegano qualche secondo a adattarsi alla penombra dell’interno, fino a quando non iniziano a percepire una moltitudine di oggetti. In terra e lungo le pareti sono ammucchiati migliaia di reperti preistorici in pietra scheggiata: enormi amigdale, punte di freccia o di lancia, macine e mortai che secondo gli studiosi risalirebbero al Neolitico. Reperti inestimabili che affiorano dalla sabbia e che sono stati meticolosamente raccolti e catalogati da Yslim stesso nell’arco di una vita intera.
L’oasi di El Beyed è un agglomerato di tende bianche intervallate da palme e cespugli nel cuore del Sahara mauritano, a qualche decina di chilometri dall’immensa struttura di Richat. Qui diecimila anni fa il paesaggio doveva essere molto diverso, come testimonia la straordinaria concentrazione di oggetti per la caccia e la conciatura delle pelli presenti in questo surreale museo e come raccontano le meravigliose incisioni rupestri sparse fra i massi vicini, che raffigurano cacciatori, antilopi, grandi bovini e addirittura giraffe.
Davanti a un tè Yslim racconta la sua incredibile storia: era poco più di un ragazzino quando al villaggio si presentò un anziano viandante; uno strano personaggio dalla barba bianca e dalla pelle riarsa che vagava per la Mauritania alla ricerca di un leggendario meteorite. Quell’uomo era Theodore Monod, probabilmente il più grande studioso e viaggiatore sahariano del Novecento. Yslim lo accompagnò per alcuni giorni mostrandogli le strane pietre che affioravano dalla sabbia intorno a El Beyedh. «Il professore mi disse che dovevo iniziare a raccoglierle e conservarle, e che un giorno sarebbero arrivate persone da molto lontano per studiarle e vederle».
Da quel giorno la vita di quel giovane allevatore di cammelli cambiò e Yslim iniziò la sua missione di archeologo delle sabbie, iniziando a costruire una collezione unica di centinaia di reperti a cui ha dedicato l’intera esistenza.
Migliaia di chilometri più a est, dalla parte opposta del Sahara, poco prima che la sterminata distesa di sabbia sia interrotta dal tappeto verde brillante che si snoda intorno al Nilo, un altro anziano attende i rari visitatori all’ombra di un albero.
Siamo a Labakha, a pochi passi da una fortezza diroccata ma ancora imponente che da due millenni segna il Limes, il confine meridionale dell’impero romano.
Quell’uomo si chiama Sayed e un giorno di molti anni fa, insieme al fratello più giovane, trovò un vecchio pozzo insabbiato ai margini dell’appezzamento pietroso in cui pascolavano le sue capre. Tempo dopo, a poche decine di metri di distanza emerse una struttura simile e poi un’altra ancora. Si trattava di una foggara, prodigioso e antichissimo sistema di canali sotterranei intervallati da pozzi di ispezione che permettono di raccogliere acqua dalle sorgenti sui declivi vicini e trasportarla anche per chilometri attraverso il deserto impedendone l’evaporazione.
Da quel giorno, per lunghi anni, Sayed iniziò a ripulire a uno a uno i pozzi verticali profondi quasi dieci metri per poi svuotare il canale idrico sotterraneo; un lavoro immane, interamente fatto a braccia, che ha permesso all’acqua di tornare a scorrere verso valle rendendo verde questo minuscolo angolo di deserto.
Con l’orgoglio di un padre Sayed accompagna i visitatori all’imbocco della foggara, dove il vento fresco e l’odore di muschio fanno improvvisamente dimenticare l’aridità del Sahara.
Meraviglie del deserto, dalle cui sabbie emergono testimonianze di un passato incredibile ma anche storie esemplari che ci raccontano come la tutela del patrimonio storico, prima ancora che attraverso politiche pubbliche e interventi delle istituzioni, possa passare dall’impegno, dalla consapevolezza e dalla grande dedizione di ciascuno di noi.