Diversità, inclusione, razzismo, pregiudizi, talenti. A cura di NuoveRadici.World
L’attesissima serie televisiva Zero, che ha come protagonisti dei giovani afroitaliani, uscita questa settimana su Netiflix, divide il pubblico delle “nuove generazioni”. C’è chi non è più riuscito a staccarsi dalla tv, chi voleva mollare ma si è poi ricreduto e chi guardandola ha capito di non essere il pubblico ideale. E voi? l’avete visto? Fateci sapere se vi è piaciuta…
di Elisa Mariani e Margherita De Gasperis – NuoveRadici.World
La serie Netfix Zero che è andata in onda il 21 aprile in 190 Paesi è al top delle classifica in Italia. Ma cosa ne pensa la generazione Z, sia italiana sia con background migratorio? E i millennial? Le seconde generazioni si sentono rappresentate? Dialoghi e trama davvero vanno oltre gli stereotipi? E il contesto della Barona e delle periferie viene raccontato in modo credibile? Lo abbiamo chiesto a diversi interlocutori, che si sono divisi in tre categorie. Gli entusiasti, quelli che ne intravedono la novità ma hanno delle perplessità, e quelli che ritengono che Zero non abbia mantenuto le promesse.
«La serie Zero è la ventata d’aria fresca di cui il panorama italiano ha bisogno, una rappresentazione di una Milano inedita che pochi vedono e che pochi raccontano» ha spiegato Xin Alessandro Zheng, regista. «Ho guardato le prime 4 puntate di Zero tutte d’un fiato perché è una serie che si guarda, senza annoiarsi, veloce e incalzante. Quindi parte bene. È difficile parlare di Zero senza sottolineare la grandissima novità della serie: per la prima volta recita un intero cast di attori afroitaliani. Una bella novità per chi come me è cresciuto nella totale assenza di rappresentazione televisiva. Detto ciò, l’elemento narrativo più interessante (a mio avviso) rimane la passione di Zero, il protagonista, per le illustrazioni. Alla fine non importa di che colore lui sia. Importa il suo talento», ha detto Sara Lemlem, reporter e videomaker, firma di NuoveRadici.World
«Era ora. Finalmente è arrivata anche in Italia una serie i cui protagonisti sono ragazzi italiani di origine straniera. La serie Netflix ha un’impostazione un po’ fantascientifica e a tratti mistica, ma il messaggio che passa è reale: possiamo tutti essere eroi e sfruttare le nostre debolezze come punti di forza, soprattutto se siamo in squadra. Per la prossima serie di questo tipo spero di vedere ancora più colori» ha detto Iara Heidempergher, creator digitale. «Serie molto realistica che rappresenta una realtà finora poco narrata, riesce nell’intento di rappresentare le istanze dei giovani italiani con background migratorio che si ritrovano ad aver bisogno di super poteri per poter valere più di zero». Così ha risposto Anass Hanafi, presidente di NILI, il Network Italiano dei Leader per l’inclusione.
Qualche perplessità
«Zero è una serie bella e interessante per diversi aspetti, ma non ha soddisfatto del tutto le mie aspettative. Il cast è eccezionale, gli attori hanno un’ottima espressività e capacità di coinvolgere lo spettatore, la fotografia è ineccepibile. La sceneggiatura presenta però diversi buchi narrativi, le trame sono prevedibili e le situazioni spesso anticipate. La storia di per sé prende ma presenta alcune scelte “all’americana”, ricordandoci che è più indirizzata a un pubblico internazionale come quello di Netflx che all’Italia. Mi ha un po’ lasciato l’amaro in bocca la post produzione: scene in cui si vede il rumore (onde che si creano sullo sfondo bianco) e altri piccoli dettagli fanno pensare che sia stata girata con un budget medio-basso. E, considerata la potenza della campagna pubblicitaria fatta, non me lo aspettavo» ha spiegato Cecilia Parini, speaker di Alfagender su Radio Ca’ Foscari.
«Zero è una storia carina, che sa strappare qualche risata e che porta sullo schermo un prodotto nuovo rispetto agli standard italiani. Non che non ci siano pecche: la narrazione scattosa, la recitazione lascia a desiderare e gli scambi di battute sono poco sensati e forzati. Ci sono anche fastidiosi stereotipi, come il ragazzo nero che sbuca dal nulla con una pistola in mano degno di una sceneggiatura americana ma fuori contesto in Italia. Zero però rappresenta comunque un inizio. È emozionante vedere sullo schermo ragazzi afroitaliani che affrontano tra i tanti problemi anche quello del razzismo nella dimensione italiana, con il nostro gergo e nei nostri luoghi», ha detto Michela Fantozzi, web writer e autrice del blog L’albero di limoni, firma di NuoveRadici.World
«Minuto 17. Non fosse stato per fatto di volerne scrivere, per me Zero si sarebbe fermata al minuto 17 della prima puntata. Ho ripreso, soprassedendo su dialoghi appiattiti, suggestioni mocciane, superpoteri filosofali e sì – mi sono ricreduta. Non è una serie cattiva: è che l’hanno disegnata così. Dialoghi da fumetto e una trama che strizza l’occhio a chi deve, e che è evidentemente ben più giovane di me. E allora che Zero sia, se in questa chiave renderà evidente l’invisibile seconda generazione, risvegliandola e ricordandole tutti i superpoteri di cui è dotata», ha spiegato Cristina Kiran Piotti, giornalista, caporedattrice di NuoveRadici.World
Chi non ha apprezzato
«Gli slogan al posto dei ragionamenti, i dialoghi sbocconcellati, i pensieri a strappi sono la grammatica di Zero così come sono la cifra stilistica della cultura giovanile di oggi alimentata da videogiochi, musica trap e social media. Quindi la serie a me sembra in sintonia con il suo pubblico. L’unico antidoto per uno della mia età è leggersi un capitolo de La Recherche dopo ogni episodio. La fotografia smonta e rimonta Milano per renderla più scintillante e fluida. Uno scenario disneyano dove fattorini, criminali, fattucchiere, industriali, disoccupati, privilegiate, usurai e bottegai di tutti colori sembrano capirsi alla perfezione. La città dei miei sogni. Gli episodi 7 e 8 cambiano passo e il finale lascia presagire una seconda serie degna di Jodorowsky. Non vedo l’ora», ha riferito Matteo Matteini, project manager, fondatore di Vitality social.
«Ho guardato con grande curiosità la serie Zero, non perché la maggior parte dei protagonisti siano italiani con background migratorio, ma per vedere quanto della complessità della nostra generazione venga evidenziato. Posso dire che è una serie, fantasy, che non sono solito guardare, dove l’immaginazione da fumettista di Omar si riversa un po’ troppo anche sulla realtà periferica in cui è inserito. L’unica novità per me è stata scoprire i diversi attori finalmente protagonisti, come lo siamo noi nella vita reale. L’impronta cinematografica sembra ricalcare le sceneggiature statunitensi, anche in un linguaggio forzato e a tratti stereotipato. Forse è una scelta per parlare anche ad un pubblico fuori dai confini italiani», ha spiegato Simohamed Kaabour, presidente del Coordinamento nazionale nuove generazioni italiane (CoNNGI).
(Elisa Mariani e Margherita De Gasperis – Nuove Radici)