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La guerra per le risorse della Repubblica democratica del Congo non ha mai conosciuto una vera tregua. Il paese è ricco di coltan e cobalto, molto richiesti nel commercio internazionale. La necessità ha sollecitato lo sfruttamento indiscriminato da parte delle compagnie internazionali. A farne le spese è, ancora una volta, la popolazione congolese. Per estrarre queste risorse sono impiegati donne e bambini, costretti a lavorare nelle miniere per paghe bassissime a orari estenuanti
di Fiorella Spizzuoco e Ornella Ordituro
Il coltan ad alto tasso di tantalite è quello più prezioso al mondo. Il suo utilizzo ottimizza il consumo di energia nei chip di nuova generazione, consentendo un notevole risparmio negli apparecchi elettronici. Più della metà della fornitura mondiale è estratta nella parte meridionale del Repubblica democratica del Congo (RdC).
Negli ultimi anni, anche la domanda di cobalto congolese è aumentata per la crescita della produzione di veicoli alimentati ad energia elettrica, una soluzione green ma non sufficientemente etica. Il suo valore è dovuto soprattutto alle elevate esigenze di vendita in Asia, Europa e negli Stati Uniti. I minatori artigianali, i creuseurs nella RdC, che lavorano a fianco di operazioni industriali molto più grandi, estraggono tali minerali a mano usando gli strumenti più basilari per scavare rocce in profonde gallerie sotterranee. Dal momento che la pandemia da covid ha fermato le scuole, i confini sono chiusi e manca il cibo, molti bambini sono ritornati nelle miniere a estrarli e lavarli.
La Repubblica Democratica del Congo
La Repubblica democratica del Congo (RdC) è un Paese che si estende nel cuore dell’Africa, una terra ricca di contraddizioni, percorsa da conflitti intestini che rendono la vita degli abitanti locali un vero e proprio inferno, insieme alla povertà, ai rischi legati ai cambiamenti climatici ma anche rifugio per le altre popolazioni della regione. Secondo dati UNHCR, attualmente la RdC è il secondo Paese al mondo, dopo la Siria, per numero di sfollati interni; accoglie mezzo milione di rifugiati in fuga da conflitti, spesso causata dalla violenza delle milizie, in altre aree della regione. Negli ultimi mesi, la morte dell’ambasciatore italiano Luca Attanasio e del carabiniere Vittorio Iacovacci, in un attacco ad un convoglio delle Nazioni Unite vicino Goma, ha riportato all’attenzione dell’opinione pubblica europea la realtà del Congo. Si tratta di un complesso puzzle fatto di gruppi armati, corruzione e interessi stranieri che rendono il Congo una “terra senza pace”. Sono principalmente le risorse naturali presenti nel sottosuolo ad alimentare conflitti e problematiche.
I territori del Congo, soprattutto quelli della parte orientale, sono ricchi di minerali come il cobalto, il rame e l’uranio. Anche l’oro è presente in grandi quantità nelle regioni Sud di Kivu e nell’Ituri; ma è soprattutto il coltan ad attirare l’attenzione di acquirenti internazionali. Presente in grandi quantità nella regione Nord di Kivu, il coltan è indispensabile per la realizzazione di batterie e strumenti tecnologici come cellulari, tablet e computer. Nord Kivu è la zona in cui è avvenuto l’attacco al convoglio su cui viaggiava Attanasio, teatro di scontri e attacchi continui proprio a causa della concentrazione di coltan nelle sue miniere. Anche in Congo, la cosiddetta “maledizione delle risorse” colpisce duramente: come nel resto dell’Africa, l’indipendenza dal Belgio nel 1960 ha segnato l’inizio di forti tensioni.
Dal Congo belga allo Zaire
Dopo il 1960, anno in cui ottenne formalmente l’indipendenza dal Belgio, la RdC ha attraversato anni duri fatti di conflitti intestini. Frammentato e indebolito, è stato oggetto di contesa tra fazioni diverse che ambivano al controllo politico su questo territorio ricco di risorse naturali e giacimenti di metalli preziosi. Nel 1967, dopo un periodo di instabilità e un colpo di stato, prese il potere il capo dell’esercito Mobuto Sese Seko, una figura carismatica e autoritaria che approvò una nuova costituzione e il cambio del nome da ex Congo belga in Zaire. Iniziarono anni di governo dittatoriale, terminati nel sangue da una nuova guerra civile, che coincise con l’esodo di migliaia di rifugiati Hutu nei campi profughi dello Zaire che scappavano dall’esplosione di odio etnico tra Hutu e Tutsi nel vicino Ruanda. Le tensioni interne, sommate alla pressione esterna, portarono nel 1997 ad un nuovo colpo di stato ad opera dell’Alleanza delle Forze Democratiche per la Liberazione dello Zaire (nata dall’unione delle forze opposte a Mobutu) portò Laurent Desire Kabila al potere.
La storia congolese conobbe però un periodo ancor più sanguinario, ossia quello che va dal 1998 al 2003, quando si svolse una seconda guerra civile che scavalcò i confini nazionali per diffondersi in vari Stati vicini. Le due fazioni che si confrontarono in quel conflitto erano rispettivamente guidate dal governo di Kinshasa e dal Fronte Patriottico Ruandese (RPF), e si scontravano per motivi ben diversi da quelli di natura etnica o politica. Le forze opposte scesero in campo per contendersi la supremazia sulle risorse del territorio del Congo, dando inizio ad una guerra senza scrupoli che causò la morte e la sofferenza di migliaia di civili inermi. Era proprio la già citata zona orientale del Paese ad essere contesa, con i suoi giacimenti di coltan accumulati lungo le sponde del fiume Congo e in vari punti del sottosuolo.
Il coltan e gli interessi internazionali
Affondando le sue radici nei primissimi anni che seguirono l’indipendenza dal dominio del Belgio, la guerra per le risorse della RdC non ha mai conosciuto una vera tregua. Il coltan è un materiale molto richiesto nel commercio internazionale: si tratta di una miscela di columbite e tantalite e dalla sua lavorazione si ottiene il tantalio, una polvere metallica molto resistente al calore, capace di sopportare un’elevata carica elettrica. Con il progresso tecnologico e l’aumento della richiesta di apparecchi elettronici di uso quotidiano, è aumentato esponenzialmente anche il prezzo del coltan, e così anche l’interesse dei commercianti illegali, che hanno riconosciuto il potenziale guadagno proveniente dall’estrazione e vendita irregolare del minerale.
L’interesse internazionale e la scarsa regolamentazione della filiera estrattiva e produttiva del coltan ha fatto sì che si guadagnasse l’appellativo di “risorsa insanguinata” già negli anni Novanta, di pari passo con la diffusione capillare delle nuove tecnologie di uso quotidiano che vengono assemblate in Cina, in Europa o negli Stati Uniti. La necessità di soddisfare le richieste ha sollecitato lo sfruttamento indiscriminato da parte delle compagnie internazionali, ma ha anche favorito l’inserimento di diversi gruppi armati nel controllo dei processi di estrazione, che usano i proventi per acquistare armi utili per gli scontri per il controllo del territorio. A farne le spese è, ancora una volta, la popolazione congolese, alle prese non solo con il conflitto civile ma anche con povertà e disoccupazione. Questi fattori favoriscono sia le compagnie internazionali che i commercianti di coltan locali, che impiegano soprattutto donne e bambini nelle miniere, dove sono costretti a lavorare per paghe bassissime a orari estenuanti. Le mani piccole dei bambini sono particolarmente adatte all’estrazione del minerale, così come la loro statura, visto che le miniere sono composte da stretti tunnel nei quali un uomo di statura normale non entrerebbe.
Le mani dei bambini
Il secondo Paese più vasto del continente africano ha 85 milioni di abitanti, di cui il 56% sono minori. Nonostante la ricchezza delle sue risorse naturali e il suo potenziale sviluppo economico, la RdC resta uno dei Paesi più poveri al mondo. Circa l’80% dei bambini e delle bambine congolesi non gode dei diritti legati all’infanzia, principalmente estraggono il cobalto, destinato soprattutto alla Cina, in condizioni particolarmente pericolose e lavano le rocce immersi in pozze inquinate. Il 20% del minerale estratto proviene dalla parte meridionale del Paese, dove il coronavirus ha riportato nelle miniere i bambini di Kolwezi, la capitale mondiale delle terre rare.
Nelle comunità del Domaine Marial, il 65% dei bambini tra gli 8 e i 12 anni lavora nelle miniere; nell’area di Kanina lo fa quasi la maggioranza in età scolare. A volte, si tratta anche di bambini in una fascia di età compresa tra i 6 e gli 8 anni, che risultano particolarmente adatti ad insinuarsi negli stretti cunicoli per l’estrazione del minerale. Lavorano in condizioni estreme, per più di dodici ore, senza alcuna protezione e con salari pari a due $ al giorno. Il rischio di ammalarsi prima e più dei loro coetanei è molto alto, così come quello di incidenti, anche mortali, sul lavoro a causa del trasporto di carichi troppo pesanti o per i crolli nelle grotte nella ex provincia del Katanga. I bambini sono, inoltre, oggetto di maggiori soprusi e abusi, spesso brutalmente maltrattati dai caporali e dalle guardie della sicurezza.
Lo sfruttamento del lavoro minorile è vietato da numerose convenzioni internazionali (la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani; la Convenzione Internazionale sui Diritti del Fanciullo; Convenzione 138 dell’ILO; Convenzione 182 dell’ILO; la Dichiarazione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro sui Principi e i Diritti Fondamentali nel Lavoro), tuttavia, molti minori locali lavorano per necessità economiche anche dopo aver frequentato pochi anni di scuola, altri non hanno mai avuto accesso all’educazione primaria. Ciò soprattutto a causa della mancanza di finanziamenti adeguati da parte dello Stato, poiché la maggior parte delle scuole non copre i costi dell’istruzione, come gli stipendi degli insegnanti, le divise e il materiale didattico.
L’intervento del governo
Negli ultimi anni, non sono mancate le iniziative delle famiglie dei minatori che, con l’aiuto di numerose organizzazioni della società civile, – sopraffatti dal lavoro per setacciare e lavare il cobalto senza mascherine o guanti, esposti a un elevato rischio di malattie respiratorie e gravi infezioni – hanno denunciato il difficile contesto in cui lavorano, chiedendo a governi, istituzioni finanziarie, organizzazioni internazionali e al settore privato di attivarsi per supportare le comunità di minatori artigianali e porre fine soprattutto allo sfruttamento minorile nelle miniere. Al rischio di ammalarsi gravemente o di morire, che è elevato per tutti, si aggiungono le condizioni generali di sicurezza, la cui precarietà dipende dal contesto del Paese: le milizie possono prendere in qualsiasi momento il controllo delle miniere. Infine, la corsa al ribasso dei prezzi dei minerali espone i lavoratori, di ogni età, allo sfruttamento.
Nel 2016, il governo della RdC ha, pertanto, creato una Commissione sul lavoro minorile nel settore minerario e ha redatto un piano strategico con l’obiettivo di non avere più minori impiegati nelle miniere artigianali entro il 2025. Le aziende multinazionali di apparecchi elettronici e le fabbriche automobilistiche devono garantire che il cobalto usato nei loro prodotti non sia stato estratto dallo sfruttamento del lavoro minorile; esse hanno la responsabilità di identificare, prevenire, risolvere e rendere conto sulle violazioni dei diritti umani lungo la loro catena di fornitori e la messa a disposizione delle valutazioni sui rischi per i diritti umani resta un punto fondamentale.
Il cobalto è importante per le economie locali e nazionali della RdC, cionondimeno, il settore deve affrontare importanti sfide per tradurre questa ricchezza mineraria in risultati di sviluppo sostenibili e un’equa distribuzione dei guadagni di produttività.
A tal proposito, dalla fine del 2020, iI Ministero nazionale delle miniere della RdC, rappresentato da Willy Kitobo Samsoni, si è aggiunto al Comitato direttivo della Cobalt Action Partnership (CAP), dimostrando la presenza del governo nel settore.
La CAP, un’iniziativa in collaborazione con la Global Battery Alliance – una piattaforma di collaborazione fondata nel 2017 dal World Economic Forum per fissare una catena etica del valore delle batterie sostenibili entro il 2030 –, è stata formalizzata nel maggio 2020 come una coalizione di organizzazioni pubbliche e private unite per l’estrazione sostenibile ed etica del cobalto.
Le parti interessate, che implementano la Partnership, si impegnano a identificare soluzioni e azioni nei settori privato, pubblico e non-profit al fine di regolamentare l’estrazione e la vendita del cobalto artigianale e minerario, promuovere l’accesso al mercato globale per i produttori, formalizzare le operazioni, sradicare il lavoro minorile e le violazioni dei diritti umani nelle comunità minerarie del cobalto, nonché armonizzare le iniziative esistenti che lavorano su questi temi sia per raggiungere gli obiettivi dell’accordo di Parigi e sviluppo economico in linea l’idea di sostenibilità ambientale delle Nazioni Unite entro il 2030 sia per tutelare i diritti umani.
(Fiorella Spizzuoco e Ornella Ordituro – Amistades)
Approfondimenti:
Per aggiungersi all’appello di Amnesty per fermare il lavoro minorile nelle miniere di cobalto nella RdC: https://www.amnesty.it/appelli/ferma-lavoro-minorile-nelle-miniere-cobalto-del-congo
Amnesty International, Time to recharge corporate action and inaction to tackle abuses in the cobalt supply chain https://d21zrvtkxtd6ae.cloudfront.net/public/uploads/2017/11/1508472 0/Time-to-recharge-1411.pdf
Amnesty Internatioanl, https://www.amnesty.it/cobalto-fornitori-non-affrontano-tema-del-lavoro-minorile
Amnesty International, Ricerca sulle miniere di cobalto nella Repubblica Democratica del Congo: danni permanenti https://www.amnesty.it/ricerca-sulle-miniere-di-cobalto-nella-repubblica-democratica-del-congo-danni-permanenti
G. Baioni, Repubblica Democratica del Congo: le risorse che fanno gola al mondo, ISPI, 25/2/2021
R. Bottazzo, Gli schiavi bambini del coltan in Congo, Il Manifesto, 9/4/2020
C. Casola, Il cuore fragile della Repubblica Democratica del Congo, ISPI, 24/2/2021
Global Battery Alliance Cobalt Action Partnership Overview, http://www.responsiblemineral sinitiative.org/media/docs/GBA%20Cobalt%20Action%20Partnership%20Overview%20Sept%20 2020.pdf
International Rights Advocates nel Cobalt DRC http://www.iradvocates.org/sites/iradvocates. org/files/12.16.19%20FINAL%20Cobalt%20C omplaint.pdf
S. Liberti, Si chiama Coltan ed è il motivo per cui si muore in Africa, L’Espresso, 1/3/2021
Observatoire Africain des Ressources naturelles (Afrewatch) https://afrewatch.org.
Parlamento europeo, Interrogazione con oggetto le condizioni di lavoro nelle miniere di coltan in Congo, 29/4/2016
UNHCR, https://www.unhcr.org/it/notizie-storie/comunicati-stampa/lalto-commissario-grandi -esorta-la-comunita-inter nazionale-a-sostenere-la-repubblica-democratica-del-congo/
UNICEF, République Démocratique du Congo, The Multiple Indicator Cluster Survey, Rapport Final Décembre 2019, (MICS-Palu, RDC, 2017-2018) https://www.unicef.org/drcongo/media/3646 /file /COD-MICS-Palu-2018.pdf
UNICEF, https://www.unicef.org/drcongo/en/press-releases/drc-minister-mines-joins-cobalt-action-partnership
UNICEF en RDC 2018/UNICEF DRC in 2018 https://www.unicef.org/drcongo/media/2521/file/COD-COAR-2018.pdf.
T. Vircoulon, Behind the problem of conflict minerals in DR Congo: Governance, International Crisis Group, 19/4/2021