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Di Luigi Limone – Centro studi AMIStaDeS APS
Intere comunità in Africa occidentale dipendono direttamente dalle attività ittiche per il cibo o l’occupazione. Il sovrasfruttamento delle acque costiere dell’area, da parte di grandi pescherecci europei e dei cosiddetti “pirati della pesca”, impoverisce gli stock ittici locali. Le conseguenze sulle economie sono irreversibili: crescono i tassi di disoccupazione e aumenta l’emigrazione, spesso irregolare, facilitata da reti di contrabbandieri e trafficanti.
Per molte comunità costiere dell’Africa occidentale, la pesca non è solo un’attività economica, ma anche un elemento centrale della vita quotidiana e della cultura. Lungo il versante atlantico dell’Africa occidentale e il Golfo di Guinea, molte comunità locali dipendono strettamente dalla pesca. Oltre a garantire il cibo necessario, questa rappresenta una fonte di reddito per le famiglie.
Le tradizioni legate al mare, tramandate da generazioni, rappresentano ancora oggi il tessuto stesso della vita comunitaria e dell’identità di interi villaggi. Paesi come Nigeria, Ghana, Costa d’Avorio, Guinea, Senegal e Mauritania vantano una ricca storia di pesca, sia commerciale che artigianale, che ha sostenuto le loro economie e le loro popolazioni costiere per decenni.
La Nigeria, con la sua vasta costa sul Golfo di Guinea, gode di una varietà di specie ittiche che sostengono una fiorente industria della pesca. Il Paese ha compiuto sforzi per modernizzare le sue flotte di pescherecci e per promuovere pratiche di pesca sostenibili, mirando a garantire la disponibilità a lungo termine di queste risorse.
Anche il Ghana ha una lunga storia di pesca, sfruttando le abbondanti risorse marine del Golfo di Guinea per l’alimentazione e il sostentamento delle comunità costiere. Il settore della pesca ghanese ha beneficiato di politiche di gestione delle risorse ittiche mirate e di investimenti nella formazione e nello sviluppo delle capacità dei pescatori locali.
La Costa d’Avorio, sebbene non sia sviluppata come Nigeria e Ghana in termini di industria della pesca, trae ancora significativi benefici dalle risorse ittiche del Golfo di Guinea. Il Paese sta lavorando per rafforzare il settore attraverso investimenti in infrastrutture portuali e miglioramenti nella catena del valore della pesca.
Allo stesso modo, la Guinea, il Senegal e la Mauritania, con le loro coste che si affacciano direttamente sull’Oceano Atlantico, hanno una ricca tradizione di pesca, che ha fornito per decenni sostentamento a numerose comunità locali.
Ma le risorse ittiche in tutti questi Paesi sono oggi minacciate da sfruttamento eccessivo, accordi di pesca preferenziali con l’Unione Europea (UE) e altre potenze economiche globali come la Cina, insieme a pratiche di pesca illegale, non regolamentata e non segnalata.
La presenza eccessiva di flotte di pescherecci stranieri nelle acque territoriali degli Stati costieri emerge come il primo problema. Questi pescherecci, spesso provenienti da Paesi con avanzate tecnologie di pesca industriale, sfruttano intensamente le risorse ittiche locali, portando a un esaurimento rapido e non sostenibile delle specie di pesci.
Gli accordi preferenziali con le potenze straniere, come quelli stipulati dall’UE con diversi paesi dell’Africa occidentale, hanno contribuito a questa situazione: accordi che spesso danneggiano le economie locali e le comunità di pescatori e permettono alle flotte straniere di accedere alle risorse ittiche locali senza controlli adeguati sul rispetto delle quote di pesca e delle pratiche sostenibili.
Inoltre, la recente presenza di navi da pesca cinesi e altre asiatiche nelle acque dell’Africa occidentale ha ulteriormente compromesso le produzioni e il commercio locali. Molte di queste navi operano illegalmente, eludendo i controlli delle autorità locali grazie alla scarsa applicazione delle leggi e alla corruzione delle forze dell’ordine.
Si stima che gli Stati costieri dell’Africa occidentale perdano annualmente 1,3 miliardi di dollari e il 37% del loro pescato a causa della pesca IUU, con gran parte del pesce illegalmente pescato che finisce nell’UE e in Cina, i principali mercati ittici mondiali.
Il cambiamento climatico ha ulteriormente minacciato queste risorse, con fenomeni come l’acidificazione degli oceani e il riscaldamento delle acque che influenzano negativamente la disponibilità di pesce e la fauna marina.
Guardando al futuro, gli Stati costieri dell’Africa occidentale condividono alcune similitudini nelle tendenze demografiche, nonostante le loro differenze economiche, politiche, territoriali e sociali. Queste tendenze sono caratterizzate da un aumento della popolazione, principalmente dovuto all’alto tasso di fertilità, ma sono accompagnate anche da miglioramenti nella salute materna e infantile, che hanno contribuito a una diminuzione della mortalità infantile e giovanile.
L’accelerata urbanizzazione è una realtà in corso, con un crescente flusso di persone, soprattutto giovani, dalle aree rurali verso i centri urbani alla ricerca di migliori opportunità economiche e servizi. Questi movimenti migratori, sia interni che esterni, spesso di natura circolare, sono influenzati da una serie di fattori, tra cui la ricerca di migliori condizioni di vita e il desiderio di sfruttare le opportunità offerte dalle città o da altri paesi.
Se da un lato cresce la popolazione e il numero di giovani in età lavorativa, dall’altro vengono sempre meno le fonti di sussistenza e le possibilità di impiego nel settore ittico per le comunità locali, le quali sono spesso formate da intere generazioni di pescatori. Di fronte a un simile contesto, le coste dell’Africa occidentale si stanno spopolando sempre di più e interi villaggi scelgono la via della migrazione, spesso irregolare, verso l’Europa con l’ausilio di reti di contrabbandieri e rischiando di divenire vittime di trafficanti.
Secondo recenti studi condotti dall’International Collective in Support of Fishworkers (ICSF),– un’organizzazione non governativa internazionale che lavora per la creazione di una pesca equa, giusta dal punto di vista del genere, autosufficiente e sostenibile – la pesca illegale ha determinato la perdita di oltre 300.000 posti di lavoro nella pesca artigianale o tradizionale in Africa occidentale. Di conseguenza, molte persone sono costrette a cercare lavoro in altri settori o a emigrare in cerca di opportunità all’estero.
L’assenza di percorsi migratori legali ha spinto intere comunità lungo le coste dell’Africa occidentale a ricorrere a reti di contrabbandieri per lasciare i propri Paesi in modo irregolare. La rotta più frequentata è quella dell’emigrazione via mare verso le Isole Canarie. Nel 2023, secondo i dati del Ministero dell’Interno spagnolo, sono stati registrati 51.739 arrivi lungo questa rotta, rappresentando un aumento dell’86% rispetto all’anno precedente. Si tratta di una delle rotte più pericolose, dato che per il trasporto si impiegano semplici pescherecci a piroga facilmente soggetti a naufragi a causa delle forti correnti atlantiche.
Ci sono precedenti storici che evidenziano la correlazione tra la crisi nel settore ittico e i flussi migratori in uscita dall’Africa occidentale. Nel 2005 e nel 2006, a seguito del crollo degli stock ittici in Senegal, quasi 36.000 africani occidentali, principalmente provenienti da Senegal e Mauritania, hanno cercato di raggiungere le Isole Canarie nel tentativo di entrare in Europa, secondo un rapporto dell’Iniziativa globale contro la criminalità organizzata transnazionale.
I governi dell’Africa occidentale hanno già avviato processi di sviluppo di politiche della pesca mirate a garantire un futuro migliore per i pescatori locali. Basti pensare che la questione è stata inserita nell’agenda politica della maggior parte dei candidati alle elezioni presidenziali in Senegal dello scorso marzo, vinte da BassirouDiomaye Faye.
Tuttavia, per affrontare appieno le sfide attuali, sono necessari ulteriori investimenti e politiche efficaci. Per garantire un futuro migliore per i pescatori locali e promuovere lo sviluppo sostenibile del settore, è essenziale che le autorità nazionali investano nel monitoraggio e nella sorveglianza degli oceani e sviluppino politiche di sviluppo sostenibile che possano generare speranza e posti di lavoro duraturi. Questo, ad esempio, potrebbe includere sussidi per aiutare i pescatori locali ad acquisire barche e strutture di stoccaggio.
La cooperazione internazionale è essenziale per sviluppare accordi di pesca più equi e sostenibili, accompagnati da meccanismi di controllo e strategie per la prevenzione e lotta della corruzione. È altresì cruciale perseguire coloro che commettono crimini nel settore della pesca, come la pesca all’interno di aree protette e l’uso illegale di grandi reti, garantendo un’applicazione rigorosa della legge.