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Il Sahel è una delle regioni più instabili del mondo. In quest’area si consuma da anni un conflitto transfrontaliero che coinvolge forze governative, gruppi di insorgenza armata, cellule terroristiche e attori internazionali. L’insorgenza armata in Stati quali Mali, Burkina Faso e Niger mette sempre più a rischio la sopravvivenza dei deboli governi centrali sostenuti delle potenze tradizionali, quali la Francia, il cui ruolo nella regione è oggi in declino rispetto a nuove forze emergenti. Il Sahel si appresta dunque a diventare un campo di battaglia fatto di attori di diversa natura che approfittano del caos politico e istituzionale per realizzare i loro interessi a breve termine a discapito della stabilizzazione politica della regione.
di Nicki Anastasio
La regione del Sahel si estende da ovest a est del continente africano, dalla costa atlantica al Mar Rosso e comprende Mauritania, Mali, Niger, Nigeria, Ciad, Sudan, Eritrea. La regione segna la transizione fisica e culturale tra le regioni tropicali più fertili del continente a sud e quelle desertiche a nord. La sua geografia l’ha reso un luogo di interazione tra diverse comunità – arabe, islamiche, popolazioni nomadi – il che ne fa oggi un mosaico etnico-culturale in cui le frontiere statali, stabilite in epoca coloniale, sono molto porose.
La situazione è tale che quando delle fazioni avanzano e conquistano terreno, i gruppi armati sconfitti si arruolano alle forze già presenti o attori privati. Questa concatenazione continua a produrre instabilità e violenza mettendo a nudo l’incapacità delle forze armate e del governo centrale di stabilire l’ordine e proteggere la popolazione.
Da circa dieci anni persistono violenze e instabilità nel Sahel: le autorità statali non sono in grado di garantire il monopolio della violenza; corruzione e criminalità dilagano in ogni ambito della società. Tra le cause scatenanti alla base della situazione di instabilità generale c’è la ribellione separatista scoppiata a nord del Mali nel 2013. I protagonisti sono il gruppo nomade dei Tuareg che rivendica da anni uno Stato indipendente – lo Stato di Azawad – nel nord del Paese. In questo frangente i Tuareg sono militarmente preparati grazie agli aiuti ricevuti dalle milizie di Gheddafi ed alle alleanze strette con le cellule jihadiste di Al-Qaeda nel Maghreb (AQIM). L’insurrezione viene presto repressa dalle forze francesi, che intervengono in sostegno del governo centrale maliano, ma ciò non stabilizza il Paese anzi segna l’inizio di un effetto domino che investe tutta la regione innescando conflitti interetnici e religiosi.
Nelle aree aride e sabbiose, dove la presenza dei deboli governi centrali è quasi nulla, operano gruppi terroristici, i principali bersagli delle operazioni militari europee e internazionali nel Sahel. La presenza in Mali di gruppi jihadisti legati ad al-Qaeda risale alla guerra civile algerina degli anni Novanta. A quel tempo, i ribelli islamisti si erano trasferiti nelle aree desertiche del nord conducendo azioni di guerriglia e catturando ostaggi. Nel 2007 questi miliziani si sono costituiti come Al-Qaeda nel Maghreb Islamico con l’obiettivo di diffondere il jihad secondo l’interpretazione salafita dell’Islam in tutta l’Africa occidentale. Al-Qaeda, forte dei vuoti di potere che caratterizzano la regione, è riuscita negli anni a guadagnare terreno. Nel 2015 un ramo dell’organizzazione si sviluppa come provincia dello Stato Islamico, lo Stato Islamico nel Grande Sahara. Dopo un periodo di collaborazione tra i due gruppi, questi hanno iniziato ad affrontarsi da marzo 2019 al confine tra Mali e Burkina Faso per l’accesso alle risorse presenti nell’area.
Gli attori non statali presenti nel Sahel – gruppi armati, agenzie private, cellule jihadiste – beneficiano del traffico illegale di armi e persone in un clima di forte instabilità politica. In questo contesto, l’ideologia jihadista salafita ben si presta a mobilitare le comunità locali le quali, in assenza di uno Stato capace di garantire il monopolio della violenza, si legano a gruppi armati sulla base di ragioni storico-culturali, ideologiche o di convenienza economica. Ad esempio, Jama’at Nasr al-Islam wal Muslimin (JNIM), il gruppo principale gruppo legato ad al-Qaeda, si pone come difensore dei Fulani, un’etnia fortemente presa di mira ai governi centrali, mentre lo Stato Islamico tutela l’etnia dei Dogon.
La Francia verso il ritiro?
Gli stati terzi intervengono militarmente nel Sahel per difendere i loro interessi commerciali: l’accesso alle risorse naturali, la vendita di armi. La forte frammentazione territoriale permette a gruppi locali – gruppi nomadi, cellule jihadiste, attori privati – di assumere il controllo di alcune aree e sostituirsi allo Stato. Questo spinge potenze come la Francia a intervenire in difesa dei governi centrali e contrastare i gruppi di insorgenza armata. Non è un caso che le truppe francesi, oltre che in Mali, siano molto presenti anche in Niger dove si trovano importanti siti minerari di uranio, in particolare da Areva e nella regione di Taoudenni dove ci sono siti di estrazione del petrolio di proprietà della Total.
La regione del nord del Mali, inoltre, è uno dei principali Paesi di transito nelle rotte migratorie che partono dall’Africa subsahariana e arrivano in Europa. L’intervento francese nel Sahel ha infatti anche implicazioni securitarie e politiche: contrastare i flussi migratori ma anche ottenere credibilità politica al livello internazionale ponendosi come difensore del mondo dal jihadismo salafita.
La Francia è intervenuta in Mali nel gennaio 2013 con l’operazione Serval. L’obiettivo è stato sostenere le forze governative nella lotta ai gruppi terroristici e mettere in sicurezza il Paese. Considerando l’acuirsi delle tensioni nei mesi seguenti, nell’agosto 2014 viene lanciata l’operazione Barkhane che non si è limitata al solo Mali, estendendosi anche a Burkina Faso, Niger e Ciad. È stato il dispiegamento militare più grande che possiede la Francia all’estero. L’obiettivo della nuova operazione è stato sostenere le armate dei suddetti Paesi, rafforzare il coordinamento delle risorse militari internazionali e realizzare azioni a favore della popolazione quali l’accesso ai servizi. A tale scopo, a inizio 2020 viene costituita una nuova forza europea a completare l’operazione Barkhane, è la Task Force Takuba, che riunisce forze speciali di diversi Paesi europei al fine di stabilizzare l’area.
Le operazioni francesi nel Sahel, dal valore di oltre 1 miliardo di euro all’anno, hanno causato dal 2013 al 2020 la morte di centinaia di soldati francesi e di civili. Secondo un sondaggio del gennaio 2021 condotto da Ifop, solo il 49% degli intervistati francese ha approvato l’intervento francese in Mali. Il presidente Macron sta valutando un ritiro della regione al fine di non cadere stessa trappola degli Stati Uniti in Afghanistan: finanziare ‘’una guerra senza fine’’ con più perdite che guadagni. Tuttavia, l’Eliseo è consapevole del fatto che i suoi competitor internazionale potrebbero approfittare del suo ritiro per avanzare i propri interessi nella regione. La preoccupazione riguarda in particolare la Russia, vicina a Bamako: entrambi i paesi hanno firmato un accordo di cooperazione militare nel 2019 e molti dei membri della giunta al potere sono stati formati a Mosca.
Il 10 giugno di quest’anno, durante una conferenza stampa in vista dei vertici del G7 e della NATO, il presidente Macron ha annunciato la fine dell’operazione francese Barkhane. Questo non ha significato la fine della presenza militare francese nella regione piuttosto la fine di Barkhane “come operazione esterna”, indicando più un’evoluzione dell’attuale coinvolgimento francese a favore di una coalizione internazionale. Dal suo canto Macron ha affermato che la Francia non può cooperare con i governi del Sahel che continuano a negoziare con i militanti islamisti. Pertanto, l’operazione militare sarà sostituita da una nuova operazione internazionale, di cui però al momento non sono stati comunicati i dettagli come anche del ritiro dei 5000 soldati francesi.
La volontà di alleggerire la presenza francese nella regione è motivata anche da crescenti critiche da parte delle popolazioni locali, incoraggiate da operazioni di disinformazione condotte da gruppi armati locali e cellule jihadiste. Ad esempio, nel gennaio 2021 si è tenuta una manifestazione a Bamako per protestare contro la presenza militare francese nel Paese in cui è indubbio il coinvolgimento della Russia e di gruppi armata locali.
L’avanzata della Russia
La debolezza della Francia nello stabilizzare il Sahel permette ad altri attori internazionale di mettere piede nella regione sfruttando l’incapacità militare delle truppe governative e delle autorità statali di creare uno stato di diritto. La debolezza del governo centrale ha permesso a gruppi locali – organizzazioni terroristiche e criminali – di intercettare il potere e le ricchezze dissipando i fondi pubblici e arricchendo le tasche delle élite al potere.
Un mese prima del colpo di stato militare che ha rovesciato il presidente del Mali Ibrahim Boubacar Keïta, a luglio dello scorso anno la popolazione ha manifestato nella capitale chiedendo l’attuazione di profonde riforme per stanare la corruzione, il nepotismo e il malgoverno. “Il problema più grande in Mali è l’impunità”, ha detto Mohamed Kassoum. “Dobbiamo combattere l’ingiustizia e la corruzione. Il nostro sogno è cambiare il sistema, dare ai maliani l’opportunità di vivere una vita migliore, di poter educare i nostri figli a scuola”, ha aggiunto.
Il golpe avvenuto in Mali l’estate scorso ha offerto a Mosca l’occasione per fornire il suo supporto militare ai paesi della regione in cambio dell’accesso alle risorse naturali presenti in Camerun, Ciad e Nigeria aree ricche di petrolio e gas. Ma anche di espandere il suo mercato di armi in Africa. La Russia rappresenta il 37,6% del mercato delle armi africano, mentre gli Stati Uniti rappresentano il 16%, la Francia il 14% e la Cina il 9%. Inoltre, come la Francia, Mosca cerca il sostegno dei Paesi africani per la sua politica estera considerate le pressioni europee dopo l’annessione della Crimea.
Alcune autorità africane hanno accusato Mosca di utilizzare metodi e tecniche corrotti per esercitare la sua influenza sui paesi africani, in particolare viene criticato il Gruppo Wagner: gruppo privato che conclude accordi con gli oppositori politici per assicurarsi l’accesso alle risorse. Anche le Nazioni Unite hanno espresso le loro perplessità su Mosca, in quanto le azioni del gruppo rafforzano i gruppi di insorgenza armata.
Di recente il primo ministro di transizione del Mali, Choguel Maïga, ha alluso a una potenziale partnership militare tra il suo Paese e la compagnia russa Wagner Maïga afferma che il Mali deve ampliare “allargare il potenziale di cooperazione per rafforzare la nostra difesa nazionale” di fronte a partner internazionali che “hanno modificato la loro politica” o “hanno deciso di lasciare il Mali per ritirarsi in altri Paesi”. In tutto questo Francia e Germania hanno avvertito che riconsidereranno il loro impegno militare in Mali se verrà stipulato un contratto tra il governo maliano e la controversa compagnia Wagner, già presente in diversi altri Paesi africani come la Repubblica Centrafricana.
Conclusione
L’instabilità che caratterizza il Sahel è dovuta da fattori di diversa natura, interni ed esterni alla regione, esogeni ed endogeni alla sua storia. La fine formale del colonialismo non ha significato la fine dell’influenza francese nell’area. Parigi è intervenuta negli ultimi anni a sostegno ai deboli governi centrali, formati da ex élite coloniali che hanno attuato un tipo di governo del neo-patrimoniali, controbilanciando l’avanzata di gruppi di insorgenza armata nel tentativo di non perdere la presa sulle risorse naturali e sfruttare la situazione per ottenere credibilità politica al livello internazionale.
Il risentimento delle popolazioni locali nei confronti della Francia ha spinto le comunità locali ad unirsi alle file di gruppi di opposizione mentre i governi di alcuni paesi hanno iniziato a ripiegare su altri partner internazionali, tra cui la Russia. La strategia di Mosca consiste nel far leva su appaltatori paramilitari e gruppi privati per contrastare i gruppi armati jihadisti, il che gli permette di sfidare il ruolo tradizionale della Francia nell’area senza coinvolgere direttamente le proprie forze nel caos saheliano.
Questo nuovo scenario geopolitico mischia le carte in tavole in merito alla competizione internazionale per le risorse nella regione. Sebbene gli Stati Uniti tendano a ridurre la propria presenza militare, proprio come la Francia, Washington continua a mantenere le sue basi militari, in particolare in Niger. D’altra parte, la Cina potrebbe considerare a breve la presenza di Mosca una minaccia ai propri interessi e alla crescente influenza nel continente africano in generale.
La strategia delle potenze estere in Africa è di tipo strettamente militare, l’obiettivo è rafforzare gli eserciti africani e renderli in grado di contrastare la minaccia jihadista al fine di massimizzare i rispettivi interessi economici, politici e securitari. Ciò, tuttavia, non è sufficiente per stabilizzare la regione in quanto la corruzione vanifica gli sforzi investiti nel rafforzamento militare degli eserciti locali e i governi centrali restano debolmente legittimati dalla popolazione. Questi elementi impediscono la stabilizzazione dell’area lasciando il via libera a forze locali di diversa natura per agire sul territorio in nome dei loro interessi personali.
(Nicki Anastasio – Amistades)
Bibliografia e sitografia
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Attar B. (2013), “Le rôle de la France dans la crise malienne”, Civitas Europa, 31:2, pp. 145-180 (https://www.cairn.info/revue-civitas-europa-2013-2-page-145.htm#:~:text=Au%20cours%20de%20la,m%C3%AAme%20de%20l’%C3%89tat%20malien)
Combating terrorism center (2020), “The End of the Sahelian Anomaly: How the Global Conflict between the Islamic State and al-Qa`ida Finally Came to West Africa”, The Islamic State and al-Quaida go to war in West Africa, 13:7, pp. 1-16. (https://www.ctc.usma.edu/the-end-of-the-sahelian-anomaly-how-the-global-conflict-b etween-the-islamic-state-and-al-qaida-finally-came-to-west-africa/)
Galy M. (2013), ‘’Pourquoi la France est-elle intervenue au Mali?”, dans: Michel Galy éd., La guerre au Mali. Comprendre la crise au Sahel et au Sahara: enjeux et zones d’ombre. Paris, La Découverte, «Cahiers libres», pp. 76-90. (https://www.cairn.info/la-guerre-au-mali–9782707176851-page-76.htm)
Jourde C. (2017), ‘’How Islam intersects ethnicity and social status in the Sahel”, Journal of Contemporary African Studies, 35:4, pp. 432-450. (https://www.tandfonline.com/doi/abs/10.1080/02589001.2017.1361016?journalCode= cjca20)
[1] Ifop pour Le Point, Les Francais et l’intervention militaire ou Mali, 8 ans aprèes le déclenchement de l’opération Serval, JF / LJ N° 117821
[2] Reuters, France will pull out up to half its 5000 troops from Sahel-Macron, 9 July 2021
[3] France 24, Mali must tackle ‘impunity, injustice, corruption, 1 September 2020
[4] Business Insider, Putin is reportedly looking to expand Russia’s presence in Africa with new bases in 6 countries, 12 August 2020
[5] Africa News, Mali must consider its options to “bolster our national defence” says Prime Minister, 19 September