Francese, nato nel 1858 e ucciso a Tamanrasset, nel Grande Sud algerino, nel 1916, durante un’incursione di Senussiti venuti dalla Tripolitania nel contesto della Grande guerra (una morte non, tecnicamente, “da martire”), padre Charles rimane uno dei giganti della spiritualità del Novecento della Chiesa cattolica. Oltre alle fraternità religiose a lui ispiratesi decenni dopo la sua morte, il suo stile – una presenza umile e “silenziosa” presso gli ultimi, in un costante dialogo di amicizia e fondata su un forte attaccamento all’eucaristia – ha plasmato un numero di cristiani difficile da calcolare: religiosi, laici, missionari… Ed è quella foucauldiana, potremmo dire, la cifra della Chiesa cattolica nell’Algeria indipendente.
Egli infatti trascorse la parte più significativa della sua vita in Algeria, dopo averla inizialmente conosciuta da militare, in anni in cui non era nient’affatto devoto, e poi da “viaggiatore impegnato”. Quando vi tornò per restarvi, nel 1901 – dopo un decennio vissuto da trappista in Siria e da eremita a Nazaret –, furono i Padri bianchi ad accoglierlo per facilitargli l’inserimento. Il “piccolo fratello universale” si dedicò fin da subito all’approfondimento dell’arabo e allo studio della cultura locale, al punto di diventare «lo specialista quasi ineguagliabile del mondo tuareg, e il solo capace di pensare veramente all’avvenire di questo popolo».
Su Charles de Foucauld, che fu scrittore prolifico (di testi linguistici, etnografici e spirituali), esiste un’abbondante letteratura. Fra i tanti libri, questo – scritto dall’archivista della causa di canonizzazione – si distingue per essere la biografia definitiva – «esaustiva», come l’editore non esita, a giusto titolo, a presentarla.
Effatà, 2018, pp. 766, € 32,00
(Pier Maria Mazzola)