Chérif, il Pelé guineano

di Enrico Casale
Chérif Souleymane

Quando, a diciassette anni, ha lasciato la Guinea per proseguire i suoi studi in Germania Est nell’ambito di un gemellaggio studentesco tra Paesi a trazione socialista, Chérif Souleymane aveva un sogno piuttosto prosaico: diventare un idraulico.
Subito dopo, però, ha cambiato indirizzo, virando sull’architettura, per una questione di sostenibilità: in questo modo, pensò, sarebbe stato molto più facile coltivare anche la sua altra grande passione, il calcio.

È cominciata così la carriera di Chérif Souleymane, con ogni probabilità il giocatore guineano più forte di tutti i tempi, venerato anche più di Pascal Feindouno, giocatore più presente e massimo cannoniere storico del Syli Nationale. «È stato fantastico, era come se in Germania mi avessero adottato», ha ricordato di recente l’anziano centrocampista al portale ndr.de.

Farsi accettare, comunque, non è stata una passeggiata, come ha raccontato lui stesso nel docu-film dedicatogli dai registi Benjamin Unger e Matthias Hufmann. All’inizio i bambini, incuriositi da una presenza così inusuale in quel contesto, lo toccavano per «vedere se in faccia avevo il carbone», gli insulti razzisti non si contavano e i genitori della sua ragazza tedesca si erano opposti alla loro relazione, rifiutando una proposta di matrimonio di Chérif.

Poi per fortuna le cose sarebbero cambiate, anche grazie al calcio. In quel periodo, mentre abitava in un convitto assieme ad altri studenti africani, provenienti perlopiù da altri Paesi socialisti come Angola e Mozambico, Souleymane si è rimboccato le maniche svolgendo qualsiasi tipo di lavoro, ma le sue abilità con il pallone tra i piedi non potevano rimanere a lungo inosservate. Anche se l’incontro con la neve gli creava qualche imbarazzo di troppo. «Era semplicemente il nostro Pelé, ma non andava d’accordo con la neve: scivolava sempre», ha ricordato scherzando Herr Merhwald, uno suo ex compagno di squadra.

Così ha iniziato a giocare da agonista con Tsg Neustrelitz e Sc Neubrandenburg, due società delle minors tedesche, ma nel 1965 con la promozione del Neubrandenburg in Oberliga, Souleymane è stato costretto ad abbandonare la Germania. Il regolamento della massima divisione della Ddr, infatti, vietava l’utilizzo di giocatori stranieri. «Ci è mancato da subito. Noi sapevamo che sarebbe diventato un grande calciatore, addirittura poi ha vinto il Pallone d’Oro africano», ha confidato un altro compagno di spogliatoio ai tempi del Neubrandenburg.

È tornato allora a casa, in Guinea. E da quel momento non si sarebbe più mosso da Conakry, facendo le fortune dell’Hafia fino al 1978, quando si è ritirato. Negli anni Settanta è stato semplicemente uno dei giocatori più forti del continente africano. Leader dell’Hafia, ha trascinato la squadra del cuore del presidente Sékou Touré verso un’incredibile tripletta di successi in Coppa dei Campioni d’Africa (1972, 1975, 1977), meritandosi il Pallone d’Oro africano con cui è stato premiato nel 1972: unico giocatore guineano a riceverlo.

Con la nazionale è stato meno fortunato. Il rimpianto più grande è legato alla Coppa d’Africa del 1976, quando a una manciata di minuti dal traguardo il marocchino Baba ha tolto al Syli Nationale più forte di sempre la possibilità di salire sul tetto d’Africa, regalando alla Guinea uno dei più grandi dispiaceri sportivi della sua storia.

A 75 anni, però, Chérif non ci pensa più e, dopo essersi cimentato nel ruolo di direttore tecnico della nazionale, è arrivato finalmente il momento di godersi il suo status di icona nazionale. Non solo in Guinea, ma anche 7300 chilometri più su, a Neubrandenburg, nel cuore della Germania nord-orientale, come ha raccontato in un’intervista un membro della Fußball-Akademie des Verbandes, dove Souleymane ha lavorato a lungo come direttore tecnico: «Messi e Ronaldo? No, l’idolo qui è Chérif».

Vincenzo Lacerenza
www.calcioafricano.com

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