La Libia si sta suicidando usando le sue ricchezze petrolifere per finanziare il conflitto in corso. Parole dure, quelle usate dall’inviato delle Nazioni Unite Ghassan Salamé (nella foto), pronunciate in un intervento alla conferenza internazionale per la pace a New York.
«La Libia – ha affermato il diplomatico – è un esempio da manuale dell’interferenza straniera nei conflitti odierni. Ci sono tra i sei e i dieci Paesi che interferiscono in modo permanente nei problemi della Libia a vari livelli: vendendo armi, a livello finanziario o politico, fornendo assistenza militare o intervenendo direttamente nel conflitto».
«Certo, i libici fanno anche la loro parte – ha detto ancora Salamé –, usano le loro risorse, cioè il petrolio, promettendolo a questa o a quell’altra potenza». Le parole di Salamé descrivono – come ha detto lui stesso – una situazione da manuale della politica internazionale e dei conflitti. Un sistema, tra l’altro, che potremmo trasferire a molti altri conflitti in Africa.
Salamé non ha fatto i nomi dei Paesi («tra i sei e i dieci», ha detto) che alimentano il conflitto. Possiamo farli noi (del resto in questo blog lo abbiamo fatto più volte). Eccoli: Francia, Russia, Emirati Arabi Uniti, Egitto, che stanno dalla parte del generale Haftar; Italia e Stati Uniti che stanno dalla parte di al-Sarraj. Poi c’è anche una divisione interaraba: Arabia Saudita che sostiene il blocco per Haftar, e il nemico giurato di Riad, il Qatar, che sta con Sarraj. Paradossalmente, se questi Paesi non ci fossero, fare la pace in Libia sarebbe molto più facile.
(Raffaele Masto – Buongiorno Africa)