«Con al Sisi è cambiato tutto o, forse, non è cambiato nulla». Così reagisce un esponente laico della Chiesa copta ortodossa alla notizia degli attentati di oggi, 9 aprile, in Egitto: il primo davanti chiesa di Mar Girgis a Tanta (25 morti), il secondo davanti alla chiesa di San Marco ad Alessandria (almeno 18 morti).
«Sotto Mubarak – continua – le condizioni di vita dei cristiani erano difficili. Il raiss, per mantenersi al potere, favoriva le discriminazioni da parte delle frange più estremiste dell’Islam. Quando è caduto il suo regime, pensavamo che le cose fossero cambiate. Ma il Presidente Morsi e la Fratellanza musulmana ci hanno subito fatto capire che per noi non sarebbero stati tempi facili. Se fosse entrato in vigore, il loro progetto di Costituzione ci avrebbe messo ai margini della società. Per questo motivo, la Chiesa copta, insieme ai musulmani più ragionevoli, ha sostenuto il cambio di regime e l’ascesa di al Sisi. Vi ricordate la prima apparizione in televisione del generale dopo la destituzione di Morsi? Al suo fianco c’erano Ahmad Muhammad Al-Tayyib, Grande Imam di Al-Azhar, la massima autorità dell’Islam sunnita, e Tawadros II, il Patriarca di Alessandria e Papa dei copti…». La Chiesa e i suoi fedeli speravano in una stagione nuova. Ma così non è stato.
I copti sono gli eredi degli antichi egizi che si convertirono al cristianesimo, a partire dal IV secolo, grazie alla predicazione di San Marco. La loro Chiesa è quindi antichissima e fino al VII secolo è stata maggioritaria in Egitto. Con l’arrivo degli arabi e dell’Islam per i copti è iniziata una difficile convivenza, fatta di periodi di relativa libertà alternati ad anni di dure repressioni.
La situazione non è migliorata con l’indipendenza dell’Egitto. E, sotto i Governi di Sadat e Mubarak la Chiesa ha vissuto un periodo particolarmente difficile. Entrambi i Presidenti, per mantenersi al potere, hanno a lungo flirtato con le frange più estreme dell’Islam lasciando loro mano libera contro i copti. «Sono gli anni – continua la nostra fonte – delle Chiese bruciate, delle discriminazioni quotidiane, delle conversioni forzate o di comodo, dell’impossibilità di costruire centri religiosi, ecc. Mubarak era un maestro di questa politica. Al Sisi è diverso».
L’attuale Presidente, pur essendo un fervente musulmano, ha dichiarato una lotta senza quartiere all’Islam fondamentalista. Una lotta sul piano militare, ma anche culturale. «Al Sisi – dice l’esponente cristiano – sta favorendo la costruzione di chiese e centri culturali cristiani. Ma sta cercando anche di sradicare il wahabismo e l’ala più intransigente dell’Islam di matrice saudita, favorendo la ripresa di studi teologici che valorizzino le correnti più aperte e dialoganti della fede musulmana. Correnti che, tradizionalmente, erano già presenti nel nostro Paese. Ciò favorirebbe il dialogo con la fede cristiana». Per questo motivo la Chiesa copta ortodossa guarda con relativo favore al Presidente al Sisi che, tra l’altro, è il primo capo di Stato musulmano ad aver preso parte alle funzioni religiose cristiane a Natale e a Pasqua.
Ma la lotta è ancora dura. Le frange estremiste sono ancora presenti in Egitto. I recenti attentati, rivendicati dalla costola locale dello Stato islamico, sono la dimostrazione di quanto è ancora lunga la lotta contro il radicalismo. E, nonostante la protezione assicurata da al Sisi, sono ripresi gli attacchi contro i cristiani. La minoranza più fragile e più esposta del Paese.
Enrico Casale