Chiamatemi Giuseppe, di Elisabetta Soglio con Giovanna Ambrosoli

di AFRICA

Il dottor Giuseppe Ambrosoli. Padre Giuseppe Ambrosoli. Il cognome non inganna: si trattava proprio di un rampollo della famiglia delle caramelle al miele. Ne dovette assorbire lo spirito manageriale, ma era altrove il suo destino. Giuseppe si laureò in medicina, dopo l’interruzione degli studi a motivo della guerra, e andò a specializzarsi in malattie tropicali a Londra. Perché l’Africa l’aveva già nel cuore. Si presentò poi alla porta dell’istituto comboniano con l’intenzione di essere medico missionario a tutti gli effetti.

Dopo l’ordinazione sacerdotale, nel 1956 parte per l’Uganda, dove resterà fino alla morte (1987), occorsa per malattia poche settimane dopo la drammatica evacuazione dell’ospedale di Kalongo, imposta dal governo perché ubicata in un’area di operazioni militari (Museveni era da un anno al potere).

Perché Kalongo, in territorio acioli, nel 1956 era solo un piccolo dispensario, che il missionario chirurgo trasformerà in un centro d’eccellenza, aggiungendovi anche una scuola di ostetricia. Un ospedale che, nel 1990, ha ripreso a vivere (ancor oggi conta circa trecento posti letto) grazie al successore, un altro comboniano e medico, Egidio Tocalli, e agli sforzi di molti, che oggi sono coordinati da specifica Fondazione di cui la pronipote, Giovanna Ambrosoli, è presidente.

Innumerevoli le persone curate in tutti questi anni e consistente anche il personale sanitario, soprattutto donne, formato. Se oggi, come si sottolinea in questa biografia di carattere divulgativo, si fa ancora memoria di padre Ambrosoli, è a doppio titolo: e perché la sua è stata una figura luminosa – per scienza, fede e dedizione (è in corso la causa di beatificazione) – e perché il suo ospedale continua a essere un riferimento. «Questa storia – dice Mario Calabresi nella Premessa al libro – mostra di avere una linfa contagiosa al suo interno».

San Paolo, 2017, pp. 163, € 13,00

(Pier Maria Mazzola)

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