Tra minacce di ritiro – o veri e propri ritiri – e critiche all’organizzazione dei lavori, si sta arenando il dialogo nazionale inclusivo e sovrano (Dnis) in Ciad promosso dalla giunta militare al potere e volto ad ascoltare tutte le forze vive della nazione per porre le basi a un nuovo futuro di stabilità.
Prima dell’istituzione di un presidio che ha suscitato l’ira di molti presidenti di partiti politici di opposizione, associazioni della società civile e esponenti politico-militari, l’Osservatorio cittadino della transizione ha lanciato l’allarme sulle manovre dei membri del Codni – il comitato incaricato di organizzare il dialogo – accusati di impreparazione e di parzialità nella distribuzione delle quote dei partecipanti. “La circolazione in sala di documenti non autenticati, la continua iscrizione dei partecipanti, la bozza di regolamento interno piena di contraddizioni e inadeguatezze, il mancato rispetto delle misure di distanziamento sociale in sala nonché il mancato utilizzo delle mascherine da parte di alcuni partecipanti, il mancato controllo sullo svolgimento dei dibattiti, il mancato rispetto degli orari di apertura e chiusura della sessione plenaria, gravi difficoltà logistiche”, sono alcune delle critiche elencate dall’Osservatorio, particolarmente veemente per quanto riguarda lo squilibrio nella distribuzione delle quote dei partecipanti.
“L’inclusività che è un principio base per la tenuta del Dnis non sembra essere rispettata”, osserva, deplorando la scarsa visibilità degli osservatori internazionali nella sala e l’assenza di alcuni gruppi politico-militari, Les Transformateurs, Wakit Tama e il Gra-appel du 1er juin: “Un gran numero di partecipanti sono iscritti o affiliati all’ex partito di governo, forte presenza di esponenti delle forze di difesa e sicurezza sia in sala che nelle principali arterie della città”, informa l’Osservatorio, denunciando inoltre “l’esclusione dei rappresentanti della società civile, giovani e accademici nelle stanze attigue, mentre le posizioni strategiche nell’aula grande sono riservate a membri del governo, attori politici e altre personalità vicine alle autorità della Transizione” nonché “la mancata presa in considerazione delle domande e delle proposte avanzate dai partecipanti, gli applausi prematuri come mezzo di pressione per mettere a tacere le controversie”.
Infine, per ridurre i rischi di defezioni al dialogo, l’Osservatorio chiede l’istituzione di un presidio diretto da una personalità neutra e consensuale.
Nel frattempo, gli undici ordini professionali, in particolare l’Ordine nazionale dei medici, l’ordine nazionale dei farmacisti, l’ordine nazionale dei tecnici sanitari, l’ordine nazionale degli amministratori sanitari, l’ordine nazionale dei veterinari, l’ordine nazionale degli avvocati, l’Ordine nazionale dei notai, la Camera nazionale degli ufficiali giudiziari-Commissari della giustizia del Ciad, l’Ordine nazionale dei dottori commercialisti, l’Ordine nazionale degli architetti del Ciad e l’Ordine nazionale degli ingegneri civili ciadiani hanno deciso di ritirarsi dai lavori del dialogo nazionale, invocando la loro esclusione dal presidio. “Poiché si ritiene che non siamo utili, pensiamo di non avere posto in questo dialogo, quindi ci ritiriamo da questo dialogo che, per noi sembra essere un dialogo di persone che si conoscono”, ha annunciato il presidente dell’Ordine nazionale degli Avvocati del Ciad Laguerre Djerandi, mentre il presidente dell’ordine degli architetti del Ciad, Abderahim Ndiaye Hayatte, ha deplorato che “C’è spazio per i politici, per i sindacati, per altri organismi, ma non per gli ordini professionali”.
Di fronte alle molte difficoltà, i responsabili dei movimenti laici e delle associazioni della Chiesa cattolica in Ciad – che includono l’Unione dei dirigenti cristiani cattolici del Ciad (Ucct), l’Unione delle donne cristiane cattoliche del Ciad (Ufcct) e la Rete degli ex Jécistes d’Afrique in Ciad (Raja-T) – hanno da parte loro chiesto la sospensione del dialogo per favorire il successo degli sforzi di mediazione in corso. “In questi giorni, l’inclusività auspicata tarda a concretizzarsi”, denuncia Djimhodoum Edmond, rappresentante dell’Ucct. I laici cattolici, che citano anche come giustificazione l’assenza di movimenti politici sociali dal fronte interno e di parte del politico-militare, minacciando di ritirarsi dal processo. All’unisono, l’Intesa delle Chiese e Missioni Evangeliche in Ciad (Eemet), rilevando anch’essa irregolarità nei lavori del dialogo durante l’adozione dei regolamenti interni e la pubblicazione dell’elenco dei membri del presidium, ha minacciato di ritirarsi dal dialogo e ha esortato il governo a sostenere gli sforzi di mediazione in corso. L’Eemet ritiene che “la nomina dei membri del presidio del dialogo nazionale inclusivo e sovrano non ha rispettato i principi del consenso, dell’inclusività e della diversità”, si legge in un comunicato stampa firmato dal segretario generale Djimalngar Madjibaye.
Infine in un comunicato, si apprende che il gruppo di religiosi e di anziani che ha tentato la mediazione per portare gli indecisi nei confronti del dialogo nazionale al tavolo dei negoziati è stato ostacolato dal rifiuto del governo di transizione. “Dopo le discussioni, prendiamo atto con rammarico che il nostro appello e le nostre proposte non sono state prese sul serio. La prova è che la richiesta di sospensione delle attività per consentire la mediazione, tra il governo da un lato e le forze civili non partecipanti al dialogo nazionale inclusivo e sovrano (Dnis) e i politico-militari non firmatari dell’accordo di Doha dall’altro, non è stato preso in considerazione dal governo della Repubblica del Ciad”, precisa il portavoce del gruppo Baniara Yoyana.