Nell’Africa subsahariana è iniziata una dura campagna contro il velo islamico. Il primo Paese a vietare il velo integrale è stata la Repubblica del Congo. A maggio, le autorità di Brazzaville hanno vietato alle donne di indossare il velo islamico integrale (niqab e burqa) nei luoghi pubblici. Il provvedimento viene applicato sia alle musulmane congolesi sia a quelle provenienti da altri Paesi. Secondo le autorità il divieto del velo ha lo scopo di contrastare l’estremismo islamico. Un portavoce governativo ha detto che il Paese è laico e rispetta tutte le religioni, ma ha aggiunto che alcune donne musulmane avevano usato il velo come travestimento per commettere atti terroristici. In particolare, donne musulmane provenienti dalla vicina Repubblica centrafricana che si sono rifugiate in Congo.
Ieri è stata la volta del Ciad. La polizia ciadiana ha annunciato ieri che chiunque indossi un velo integrale sarà arrestato. Anche in questo caso, il provvedimento viene giustificato con la necessità di evitare gli attentati dopo che sabato un aggressore mascherato da una donna ha fatto esplodere una cintura carica di dinamite nel mercato di Ndjamena causando numerosi morti.
«Questo attacco conferma che il divieto di velo integrale è giustificato», ha detto il portavoce della polizia nazionale Paul Manga, aggiungendo che «ora il divieto deve essere rispettato più che mai da tutta la popolazione. Chi non rispetta la legge sarà arrestato e portato davanti alla giustizia».
A differenza del Congo il Ciad è un Paese a maggioranza musulmana e la decisione di vietare il velo è particolarmente eclatante. Ma questo provvedimento, che si aggiunge a maggiori controlli di polizia in tutta la nazione, è giustificata dalla necessità di contrastare l’offensiva terroristica che Boko Haram ha scatenato contro il Ciad dopo che Ndjamena ha sostenuto il Governo nigeriano proprio contro i fondamentalisti islamici. Un conflitto che ha ucciso almeno 15mila persone dal 2009 e ha lasciato più di 1,5 milioni di senzatetto.
Questi provvedimenti suscitano due interrogativi: serviranno effettivamente a contrastare il terrorismo? O saranno solo un modo per esacerbare ulteriormente le già fragili relazioni tra le comunità cristiane e musulmane?