Il gruppo paramilitare russo Wagner starebbe cercando di destabilizzare il governo di transizione del Ciad, con l’ausilio di una ribellione interna. Lo ha scritto ieri il Wall Street Journal, riferendo che le autorità statunitensi hanno condiviso con le autorità di N’Djamena informazioni di intelligence.
Secondo il quotidiano americano, il capo della società paramilitare russa Wagner Group starebbe lavorando con i ribelli ciadiani non solo per destabilizzare il governo ma anche, potenzialmente, uccidere il presidente della nazione africana, un alleato chiave dell’antiterrorismo dell’Occidente, secondo gli Stati Uniti e funzionari europei.
“La vasta e ricca nazione desertica del Ciad si trova al centro della regione africana del Sahel, dove la Russia, con l’aiuto di Yevgeny Prigozhin, sta apertamente sfidando alleanze economiche, militari e politiche vecchie di decenni con l’Occidente”, scrive il Wall Steet Journal. Ex colonia francese, il Ciad condivide confini lunghi e porosi con la Libia a nord, la Repubblica Centrafricana a sud e il Sudan a est, “tre Paesi in cui Wagner è già presente”. Il Ciad “prende molto sul serio questa minaccia”, avrebbe detto un funzionario africano. “È come una spada di Damocle”.
Nei giorni scorsi, il ministro delle Comunicazioni e portavoce del governo ciadiano, Aziz Mahamat Saleh, ha dichiarato che non c’è alcuna ribellione in corso sul territorio nazionale, smentendo il governatore della provincia di Logone Oriental, Ahmat Dari Bazine, che aveva annunciato l’esistenza di una ribellione nella sua provincia.
Mahamat Deby Itno guida il Ciad dalla morte del padre, il maresciallo Idriss Deby Itno, il 20 aprile 2021. La sua leadership è contestata all’interno del Paese da opposizione e società civile, che denunciano una successione ‘monarchica’ del potere e ostacoli all’alternanza democratica in Ciad. La transizione prevista inizialmente è stata prorogata al termine di un processo contestato da una parte della classe politica e della società civile. Il 20 ottobre scorso la repressione di manifestazioni di protesta è finita nel sangue – 128 morti secondo la commissione nazionale dei diritti umani – e con molteplici arresti.