di Michele Vollaro
Mancano ormai meno di sette anni e mezzo al 2030, anno al quale le Nazioni Unite hanno fissato il traguardo per raggiungere gli Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs), una serie di 17 obiettivi interconnessi definiti nel 2015 come strategia «per ottenere un futuro migliore e più sostenibile per tutti». Siamo quindi giunti, almeno temporalmente, a metà di un percorso che si propone di dar seguito ai risultati degli Obiettivi di sviluppo del Millennio che li hanno preceduti e che convergono su un insieme di questioni con un approccio che per la prima volta stabilisce una visione integrata tra le dimensioni economiche, sociali ed ecologiche dello sviluppo. Si va dalla lotta alla povertà all’eliminazione della fame, dal diritto a salute e istruzione all’accesso ad acqua ed energia, dalla necessità di promuovere forme di lavoro dignitoso al contrasto ai cambiamenti climatici, fino alla necessità di costruire istituzioni responsabili e solidali a tutti i livelli, per citarne solo alcuni.
Senza dilungarci sul dettaglio dello stato di avanzamento dei singoli target – ogni anno il Dipartimento per gli affari sociali ed economici dell’Onu pubblica proprio su questo tema un rapporto, che invito a leggere nella sua versione integrale – vale la pena soffermarsi a comprendere come abbiano influito sull’attuazione generale degli SDGs la pandemia di covid-19 prima e l’invasione russa dell’Ucraina poi.
Già prima della pandemia si registravano ritardi sulla tabella di marcia ideale, ma le interruzioni dei sistemi d’istruzione, i blocchi della produzione e le misure di isolamento introdotte per arrestare la diffusione del coronavirus hanno contribuito a far deragliare ulteriormente dal percorso tracciato. Nel 2020 sono stati almeno 255 milioni i posti di lavoro a tempo pieno perduti. Le misure di quarantena domestica hanno portato a un aumento delle violenze di genere, mentre la mortalità materna è aumentata per il sovraccarico delle strutture sanitarie. Il tasso di povertà è aumentato per la prima volta in oltre 20 anni, e più di 120 milioni di persone sono state spinte in uno stato di povertà estrema. A causa anche – ma non solo – della guerra in Ucraina, quest’anno il numero di persone costrette a fuggire da conflitti, violenze, violazioni dei diritti umani e persecuzioni ha superato per la prima volta la soglia dei 100 milioni. Senza dimenticare, come segnala l’ultima pubblicazione dell’Organizzazione meteorologica mondiale, l’aumento delle probabilità che la temperatura media globale annuale aumenti più di 1,5 gradi centigradi rispetto ai livelli preindustriali, linea rossa tracciata dall’Accordo di Parigi sul clima per evitare conseguenze irreversibili sull’ambiente. Come ha affermato il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, «se il cambio di paradigma previsto dall’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile fosse stato pienamente abbracciato negli ultimi sette anni, il mondo sarebbe stato meglio preparato ad affrontare queste crisi, con sistemi sanitari più forti, maggiore copertura della protezione sociale, più resilienza, grazie a una maggiore parità sociale e ad un ambiente naturale più sano». Forse, siamo ancora in tempo per cambiare strada.
Editoriale del numero di Luglio-Agosto della Rivista Africa di Michele Vollaro – Direttore Responsabile