Elvis Sabin Ngaïbino (Begoua, 1985) è uno dei pochissimi registi della Repubblica Centrafricana. È merito suo aver fondato nel 2012 con alcuni amici l’Académie du Cinéma Centrafricain, con cui produce film per la televisione. In seguito ha studiato regia agli “Ateliers Varan”, dove realizza il cortometraggio Docta Jefferson, la storia di un farmacista nella capitale Bangui che esercita la professione senza avere il titolo di studio e che viene messo in crisi dalle nuove direttive del ministero della Salute sulla vendita delle medicine.
La storia
Il suo primo lungometraggio, Makongo, prende il titolo dal bruco che i pigmei raccolgono nelle foreste, l’oggetto di scambio con il quale pagare un’istruzione per sé e per i più giovani della comunità, minacciata oggi dalle logiche del mercato che ne minano le tradizioni, la coesione e la stessa possibilità di continuare a esistere. Il tema fondamentale della storia è però la lotta di due giovani, Albert e André, pigmei Aka nella Repubblica Centrafricana, per terminare i propri studi e fare in modo che il maggior numero di bambini possa farlo. Nel loro villaggio i due ragazzi sono rimasti gli unici a studiare nonostante le avversità: per esempio la mancanza di soldi per le tasse scolastiche, i gessetti, i quaderni. «La scuola è importante, ci unisce oltre le differenze. Per questo dovete motivare i vostri figli, anche se vengono discriminati in quanto Pigmei», sostengono i due giovani, e il loro impegno è commovente, come lo sono i bambini che li seguono, marchiati dalla povertà, faccette attente in un contesto che non sembra aiutarli per nulla (ecco quindi le vacanze forzate per andare a raccogliere i bruchi). La loro realtà è quella di una etnia vittima di pregiudizi e discriminazioni, mentre la globalizzazione sta inghiottendo il mondo. Il regista segue la storia dei suoi protagonisti con amore e tenerezza, accompagnandoli nel viaggio dalla foresta alla grande città con palazzi «più alti degli alberi». Fa da sfondo a tutto il film una suggestiva musica polifonica e indimenticabili sono le immagini dell’”orchestrina” con una chitarra primitiva, la batteria montata su rami alla cui sommità sono fissati degli improbabili rottami di latta, il ritmo scandito da due pezzi di verde bambù. E la scena dei bimbi che seguono il loro istruttore che impugna un pezzo di legno a mo’ di microfono ci riporta alla favola del pifferaio magico.
Un ricordo lontano
Il film mi ha anche suscitato un bellissimo ricordo personale: parecchi anni fa ero nella Repubblica Centrafricana e attraversai con una guida un lungo tratto di fittissima foresta e poi in canoa un fiume per arrivare a un villaggio pigmeo. Portammo in dono un sacco di sale e ci fu offerta come cibo – voleva essere un dono di benvenuto – una scimmia abbrustolita. La visione d’insieme del villaggio era desolante: piccoli uomini e donne seminudi divorati dalle malattie, miti e indifesi. Mi vergognai del mio ruolo di turista, ma ad un tratto un ragazzo si mise a suonare un flauto primitivo e ne uscirono note di una bellezza straordinaria che raccolsi con il mio piccolo registratore portatile. Decisi di far risentire il suo pezzo alla guida e non dimenticherò mai la sua espressione di stupore, poi di gioia esplosiva. Volle ascoltare ancora e ancora, mi seguì alla mia partenza e lo vidi arrampicarsi con un’incredibile agilità su un albero altissimo per offrire poi in regalo un alveare pieno di miele. Ecco, l’emozione di quel momento, anche se in situazione diversa nel tempo e nel luogo, l’ho rivissuta con Makongo.
Il 28 novembre, in anteprima italiana, nell’ambito della rassegna “AUTUNNO 2020“ del Film Maker Fest in collaborazione con Associazione COE e FESCAAAL, il film, premiato a Final Cut in Venice 2019 (workshop di sostegno alle opere in post-produzione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia), sarà disponibile sul sito dello stesso festival.
(Annamaria Gallone)