È il rito di passaggio più diffuso nell’Africa nera, un momento cruciale nella vita di ogni ragazzo, che segna l’ingresso nel mondo degli adulti. Una pratica millenaria dolorosa e controversa.
I bambini d’Africa commuovono ogni uomo bianco, ma nessuno vorrebbe essere uno di loro. Un esercizio di empatia: se sei un maschio, immaginati nel villaggio bobo-bwa di Boni, in Burkina Faso, al tempo di quando avevi tra i sei e i dieci anni. Sei seduto a terra, allineato assieme a una cinquantina di coetanei, in tre file parallele. Siete completamente nudi; e terrorizzati. Infatti, un severo maestro di cerimonie, munito di bacchetta flessibile, invita a scavare a mano una piccola buca davanti a voi, tra le gambe. «Dovete aiutare il Filo di Dio – dice –, quello che collega il vostro prepuzio alla Madre Terra: è fatto di sangue». Ormai sei coperto di polvere e sudore, mentre la buchetta si apre per ricevere il sacrificio della circoncisione e far sì che la terra e gli antenati si bevano il tuo sangue. Arriva il circoncisore. Lega il tuo prepuzio con una cordicella che tende al massimo, tirandolo con l’alluce fino a un paletto scortecciato. Appoggia la lama del coltello rituale sulla carne tesa. Con un mazzuolo, vibra un colpo secco. E passa oltre.
Tu devi far finta di niente, mentre reggi quel che rimane del pene con una forcella di legno, di modo che il sangue possa fluire nella buca senza che l’organo si infetti. Nella mano sinistra tieni il prepuzio reciso, la tua parte femminile da cui sei stato separato per sempre e che andrai a seppellire il prepuzio: sei un maschio adulto.
La fine del caos
La circoncisione è una «tecnologia del sé», come la definirebbe Michel Foucault. L’ablazione di una parte genitale, femminile all’apparenza (ogni sorta di “buco” è considerato generativo in gran parte dell’Africa), fornisce un genere al bambino. Questi, infatti, pur avendo un sesso, non è né maschio né femmina, in quanto incapace di generare. I Dogon del Mali dicono che la sua essenza è doppia (kinndu-kinndu, anima-anima).Analoghe considerazioni vengono applicate all’escissione, la “circoncisione” femminile che prevede l’ablazione della clitoride, considerata “maschile” e “sporca”. In sostanza, i bambini appartengono al mondo dell’antropogenesi, la “creazione” naturale dell’uomo/donna. I circoncisi rientrano invece nell’universo dell’antropopoiesi, la “fabbrica” culturale dell’essere umano.
Un Dogon mi disse, disgustato dal caotico comportamento infantile: «I non circoncisi non sognano che disordine e impicci». Per tranquillizzarlo, gli ricordai un detto degli Ngbaka del Congo: «Un bambino incirconciso non dà ordini». L’incisione della carne, apertura generativa, libera il pene, scoprendolo al mondo “civile”.
Origini in Camerun
La distribuzione spaziale della circoncisione maschile e dei riti di iniziazione a essa connessi coinvolge tutta l’Africa subsahariana, sottraendo il rituale all’influenza islamica: è molto più antico. I dettagli dell’operazione sono assai simili da una popolazione all’altra, sia nella parte fisica sia in quella simbolica. Anche in aree culturali geograficamente distanti migliaia di chilometri, dalla foresta equatoriale alla savana tropicale, si riscontrano dettagli procedurali che indicano la diffusione della tradizione dopo un lungo processo di evoluzione. Molto probabilmente, l’operazione è da attribuirsi alla diffusione dal Camerun centrale, a partire dal secondo millennio prima dell’Era Comune, di popolazioni parlanti lingue bantu, quelle che hanno diffuso la tecnologia del ferro indispensabile per la cerimonia della circoncisione. Il protagonista, però, è il pene, non il coltello, l’iniziando, non il cerimoniere.
Diploma di maturità
Oggi la pratica della circoncisione maschile in Africa ha assunto forme variabili, anche se la “fantasia culturale” è limitata dall’essenzialità dell’atto stesso. Pratiche specifiche come la rasatura del capo o la pittura corporale degli iniziandi con caolino bianco o cenere grigia (entrambi colori della morte) e la conseguente pratica obliqua di informare i parenti di una presunta morte degli iniziandi, tutto ciò suggerisce comuni origini e successiva diffusione di un intero complesso di comportamenti connessi all’ablazione del prepuzio tra le popolazioni a lingua bantu. Le prove linguistiche dimostrano che i gruppi presso cui non si circoncidono gli adolescenti maschi hanno probabilmente perso la pratica a causa della prossimità di altri modelli culturali “dominanti”. Comunque sia, la circoncisione rappresenta una sorta di diploma per tutti i maschi destinati ad affrontare i “riti di passaggio” in quelle che l’etnologia classica chiama “scuole di iniziazione” con lo scopo di ottenere lo status di guerrieri, prima ancora che di potenziali padri di famiglia.
Sotto accusa
Oggi la pratica è sotto osservazione, soprattutto da parte di chi la deve subire. In fondo, si tratta di uno spargimento di sangue, e l’Hiv è ormai parte del paesaggio africano. Contrariamente a quel che si pensa, studi scientifici evidenziano una correlazione geografica positiva tra l’aids e la mancanza di circoncisione (trasmissione eterosessuale). Altri riferiscono invece come l’uso di un solo coltello cerimoniale aumenti la diffusione virale (trasmissione ematica). In ogni caso, i pericoli sanitari legati alla circoncisione maschile in Africa sono reali e seri. Per esempio, a Mutoto, in Uganda, si tiene un festival annuale, promosso dall’Ugandan Tourist Board, che coinvolge duecentomila persone nello “spettacolo” di un migliaio di adolescenti pronti a farsi circoncidere senza anestetico e disinfettanti. In Sudafrica, tra il 2008 e il 2014, sono morti 419 ragazzi, e quasi mezzo milione ha dovuto ricorrere all’ospedalizzazione dopo la circoncisione. Il dibattito sulle mutilazioni genitali (assai più devastanti nelle donne) dovrebbe essere allargato alla comunità maschile: i ragazzi africani reclamano parità di genere, perlomeno nell’abolizione/controllo dei tagli genitali.
In bilico tra due mondi
Al momento gli iniziandi sono in bilico tra due mondi, tradizione e modernità. Per esempio, attorno al Lago Turkana, in Kenya, ogni maschio deve divenire un guerriero, senza possibilità di esenzione. A parte la comunità dei Turkana (visti da tutti come bambini portatori di caos, in quanto incirconcisi), la circoncisione è il rito di passaggio per fare dapprima un pre-uomo da guerra, mentre il cosiddetto periodo di servizio alla comunità (anche 14 anni) trasforma il guerriero in uomo completo, in grado di sposarsi. Il percorso, date anche le condizioni locali, è durissimo. Nel primo mese di preparazione, gli iniziandi samburu si vestono di una lunga pelle nera e vanno a sopravvivere nella foresta, che fornirà loro il cibo. Hanno archi con frecce spuntate, con cui abbattono uccelli multicolori. Non li mangiano, però, ma li appendono ai capelli, sulla nuca: un Samburu non rinuncerà mai all’eleganza.
(Alberto Salza)