di Federico Monica
Quando si parla di verde urbano si pensa immediatamente a grandi parchi, aree verdi attrezzate o aiuole rigogliose; anche le immagini artificiose che spesso vengono utilizzate per promuovere un’idea di futuro urbano sostenibile rappresentano vere e proprie foreste incontaminate affiancate da qualche edificio hi-tech. Nella realtà però le grandi superfici verdi rappresentano una porzione non preponderante della vegetazione urbana che per lo più è costituita da piccoli o piccolissimi appezzamenti di terreni, privati o pubblici e da una miriade di alberi e cespugli isolati.
Una recentissima ricerca scientifica ha dimostrato il ruolo fondamentale che hanno questi elementi di “verde diffuso” nel mitigare le emissioni di anidride carbonica: finora infatti gli studi prendevano in considerazione soltanto grandi parchi e aree inedificate ma grazie a strumenti e modelli più dettagliati si è calcolato anche l’apporto ambientale di viali, aiuole, piccoli giardini privati o singoli alberi. Il risultato è sorprendente: a New York oltre il 40% delle emissioni è assorbito dall’insieme del verde urbano, con un apporto determinante dato dal verde diffuso. Secondo la stessa ricerca gli effetti positivi in città dai climi più caldi potrebbero essere ancora maggiori.
Il verde urbano nelle città africane
Nelle città del continente africano la situazione è ovviamente molto eterogenea e dipende da diversi fattori, climatici innanzitutto ma anche relativi alla dimensione e alla densità dei centri urbani.
Nonostante siano spesso additate come poco sostenibili le città africane hanno una tradizione molto forte di convivenza con aree verdi più o meno grandi. Specialmente nelle città minori, più legate al mondo rurale e con meno pressione demografica, la presenza di grandi superfici destinate all’agricoltura o all’allevamento è una caratteristica tipica del paesaggio urbano. Anche in grandi città come Antananarivo o Yaoundè però le risaie e le coltivazioni nelle aree di depressione tradizionalmente umide o paludose si alternano alle case e a moderni palazzi fino a sfiorare i centri nevralgici delle metropoli.
Purtroppo queste aree vanno riducendosi in maniera sensibile, stravolgendo le peculiarità di molte città. La speculazione edilizia e l’aumento della popolazione urbana porta ad erodere le aree verdi o addirittura le foreste più prossime alle città.
A Freetown le colline sovrastanti il centro sono ormai interamente deforestate e punteggiate di villette, creando enormi rischi di frane, mentre Addis Abeba (nella foto), un tempo soprannominata la città verde di Menelik, continua a crescere a discapito di viali, giardini e boschi circostanti.
Non solo l’espansione dell’impronta urbana porta alla distruzione della vegetazione ma anche la densificazione: in maniera meno evidente e più subdola nuove costruzioni sorgono su quelli che erano piccoli giardini, aiuole o spazi rimasti inedificati, erodendo proprio quel patrimonio di verde diffuso che abbiamo visto essere così importante.
Eredità coloniali: il verde come elemento di esclusione
Nelle città di fondazione coloniale o in cui erano in vigore regimi basati sull’apartheid le aree verdi hanno rappresentato per decenni un elemento tangibile di esclusione: i quartieri “bianchi” erano immediatamente riconoscibili per gli ampi viali, i sontuosi giardini, i parchi o le riserve di caccia per passeggiare o intrattenersi. Fuori da questi piccoli paradisi ben recintati i quartieri si caratterizzavano per la densità delle abitazioni e la totale assenza nella cura degli spazi pubblici, spesso pianificati con la finalità di mantenere ordine e controllo sui residenti.
Una differenziazione che nonostante i corsi della storia è purtroppo rimasta, seppure in forme diverse: oggi sono i quartieri ricchi ed esclusivi a fregiarsi di viali e aiuole a differenza delle zone più povere e popolari in cui spazi liberi e vegetazione sono rarissimi. In molte metropoli poi i pochi parchi o i giardini sono spesso inaccessibili: in alcuni casi a pagamento, altre volte sorvegliati e recintati in modo che non si possa calpestare l’erba o avvicinarsi a piante e arbusti.
Il verde urbano torna quindi ad essere un aspetto escludente, a disposizione di chi può permettersi di pagare biglietti di ingresso o di chi vive in certi quartieri e negato completamente a chi fa parte delle fasce più svantaggiate della popolazione.
La natura dove non te l’aspetti
Ma parchi, giardini e aiuole non sono gli unici spazi verdi possibili in un centro urbano, spesso la natura rigogliosa si nasconde in angoli inattesi che offrono ai cittadini oasi di benessere.
Intorno alle chiese e agli edifici religiosi, ad esempio, come nel caso della già citata Addis Abeba in cui le chiese copte sono circondate da un fitto bosco in cui è possibile trovare rifugio dal caos del traffico e dei mercati, ma anche in molte altre capitali in cui chiese o moschee svolgono anche il prezioso compito di preservare l’ambiente naturale nel contesto urbano.
In altre città un ruolo simile è svolto dai cimiteri che diventano veri e proprio polmoni verdi al centro di zone completamente edificate e in cui non è raro incontrare persone che svolgono le più svariate attività.
Specialmente nei quartieri più periferici o più popolari, dove l’arte di arrangiarsi fa la differenza, non per forza il verde dev’essere “ufficiale” o pianificato; uno spiazzo inedificato, il ciglio della strada, una crepa nell’asfalto diventano così luoghi ideali per creare piccoli orti, piantare qualche pianta di mais o alberi più grandi. Soluzioni spontanee che andrebbero incoraggiate e messe a sistema a causa del loro grande impatto sull’ambiente urbano.
Nell’ottica di creare nuove città inclusive e sostenibili tutti dovrebbero avere diritto alla natura e ad aree verdi accessibili; certamente il raggiungimento di questo obiettivo dipende in gran parte dalle scelte di chi governa e pianifica i centri urbani ma non solo: come insegnano le metropoli africane è anche possibile riappropriarsi degli spazi e del verde, prendersene cura e diventare protagonisti attivi nella trasformazione delle nostre città.