“Senza precedenti, sempre più diffusi e in continuo aumento”: sono queste le parole utilizzate per descrivere i cambiamenti climatici in corso a livello globale dagli scienziati che hanno realizzato l’ultimo rapporto del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Ipcc) delle Nazioni Unite.
Pubblicato la scorsa settimana, il rapporto – che passa in rassegna i risultati di oltre 14.000 studi scientifici sul tema – è stato oggetto di ampia attenzione sui principali media di tutto il mondo per la gravità della situazione, che rischia di diventare ingovernabile qualora gli sforzi per promuovere la transizione verso la costruzione di una società più sostenibile dal punto di vista ambientale non vengano urgentemente intensificati.
La situazione più drammatica, andando ad analizzare i dati del rapporto suddivisi per regione, è quella che sta vivendo il continente africano, dove l’incremento della temperatura e del livello del mare è superiore alla media globale, un primato che si confermerà anche nel futuro, esacerbando l’inondazione e l’erosione delle zone costiere.
In base ai dati resi noti, le temperature medie annuali in Africa sono infatti cresciute in una forchetta compresa tra 0,2 e 0,5 gradi centigradi ogni decennio a partire dal 1950 circa rispetto a una media globale compresa tra 0,1° e 0,3°C. Secondo gli scienziati che hanno lavorato alla pubblicazione del rapporto, i dati relativi all’Africa che sono stati raccolti a partire dall’inizio del secolo scorso consentono di affermare inoltre con sufficiente affidabilità che la crescita delle temperature e l’aumento della frequenza dei fenomeni climatici estremi debbano essere legati a cause antropogeniche mentre è praticamente certo che le temperature continueranno ancora a crescere fino ad almeno 2,5°C entro il 2050 e quindi ben superiore al limite dei 2°C indicato dagli Accordi di Parigi.
Nonostante l’aumento già in corso delle temperature in Africa, gli scienziati dell’Ipcc hanno riscontrato sinora una corrispondenza limitata tra il maggiore stress climatico legato al caldo e le possibili conseguenze sulla produzione agricola o sulla salute umana. Se però tale corrispondenza non è verificata nei decenni appena trascorsi, viene ritenuta altamente probabile invece nel prossimo futuro, entro metà del secolo in corso, con il numero dei giorni in cui la temperatura massima prevista è superiore ai 35°C che dovrebbe toccare in media quota 150 all’anno, mentre nei Paesi dell’Africa occidentale e centrale, i giorni durante i quali la temperatura massima sarà superiore ai 35°C potrebbero essere anche più di 200 all’anno. La conseguenza, si legge nella bozza dedicata agli approfondimenti regionali del rapporto Ipcc che dovrebbe essere finalizzata entro metà settembre, è che la mortalità legata alle alte temperature e ai fenomeni climatici estremi è prevista in crescita in tutto il continente.
A livello sub-regionale, gli scenari mostrano una tendenza alla diminuzione delle precipitazioni nei Paesi del Nordafrica e conseguente aumento della siccità. In Africa occidentale le previsioni vedono un aumento delle inondazioni causate da un incremento dell’intensità di fenomeni temporaleschi stagionali e minore capacità di assorbimento dei suoli causata dalla siccità e dal degrado dei suoli stessi, così come anche nei Paesi dell’Africa centrale dove però la media delle precipitazioni è attesa in calo. In Africa orientale, invece, l’aumento delle temperature potrebbe essere ancora maggiore e la tendenza attuale sembrerebbe confermare una possibile tendenza all’aumento fino a 4°C entro la fine del 21° secolo, mentre tutti i Paesi africani affacciati sull’oceano Indiano avranno la possibilità di dover far fronte alle conseguenze di quattro o cinque cicloni all’anno.
Seppure il rapporto diffuso dagli scienziati dell’Ipcc si proponga come una rassegna di studi già pubblicati cercando di presentare scenari e modelli sintetici e raccomandando alle istituzioni politiche di intraprendere con urgenza le necessarie contromisure, il rapporto evidenzia in ogni caso come tali scenari possano variare enormemente a seconda degli scenari di mitigazione che verranno messi in piedi per rispondere all’emergenza climatica in corso. Gli impatti della crisi climatica sugli esseri umani e le forme attraverso cui mitigare il riscaldamento del pianeta e le sue conseguenze sono infatti argomenti che saranno affrontati in un ulteriore rapporto, che dovrebbe essere completato e pubblicato il prossimo anno. Resta da vedere se questo – ennesimo – allarme legato alle rapide mutazioni del clima globale sarà fatto proprio anche dai leader politici che si riuniranno a Glasgow, nel Regno Unito, dal 31 ottobre al 12 novembre prossimi per partecipare alla Cop 26, l’annuale conferenza sul clima della Convenzione quadro sui cambiamenti climatici (Unfccc), considerato da più parti l’ultimo appuntamento utile per prendere decisioni definitive e poter invertire la tendenza prima che sia irreversibile.
(Michele Vollaro)