L’accordo sul nucleare iraniano ha rafforzato l’alleanza tra Israele e Arabia Saudita, gli unici attori rimasti intransigenti contro i rivali persiani. Ora che Israele perora con insistenza la causa della bomba atomica ai sauditi, nella cortina difensiva che sta innalzando in Medio Oriente torna attuale la questione del controllo dello stretto di Tiran e della sovranità delle isole di Tiran e Sanafir. Tra Asia e Africa, lungo lo strategico Golfo di Aqaba.
Non è affatto chiaro chi le abiti. Tiran e Sanafir sono due piccole isole del mar Rosso sulla barriera corallina, a sud del Sinai, tra Egitto e Arabia Saudita. Dalle spiagge Sharm el Sheik si possono scorgere senza difficoltà e, se in linea d’aria, a fine ’800 i primi sionisti avessero tracciato una linea retta a sud, dal confine orientale del nascente Stato di Israele, questa avrebbe facilmente incluso almeno Tiran.
Non è andata così, almeno fino alla guerra dei sei giorni del 1967, durante la quale anche lo Stretto di Tiran fu oggetto di contesa. Possedimento saudita, esploso il primo conflitto arabo-israeliano (1949) Riad ne cedette il controllo all’Egitto di Nasser per bloccare il passaggio delle navi israeliane: il 90% del petrolio di Israele partiva dal porto di Eliat e passava da lì, suo unico accesso sul mar Rosso.
La versione ufficiale è che gli 80 km² desertici dell’isola di Tiran e i 33 di Sanafir siano ancora amministrazione del Cairo e che a Riad vada bene così. Ma, considerato quanto accadde in zona nel 1967, c’è più di un dubbio a riguardo. Approfittando della mancanza di trasparenza sulla sovranità tra sauditi ed egiziani, durante l’offensiva l’esercito israeliano occupò anche le due isole, restandoci almeno fino al 1982.
Inutili i ripetuti richiami delle Nazioni Unite e anche quelli degli Usa, già nel 1968, a Israele a sgomberare dallo stretto. Sempre ufficialmente, dopo i negoziati e gli accordi di Camp David, nel 1978, che segnarono il passaggio di campo dei generali egiziani dalla parte israeliana, il Cairo avrebbe ripreso il controllo di Tiran e Sanafir, oggi parte di un parco nazionale.
Tiran in particolare, presidiata anche negli anni ’50 da una missione Onu, sarebbe abitata solo da forze militari egiziane e parte del contingente multinazionale dispiegato nel Sinai per effetto della pace di Camp David tra Egitto e Israele. Dall’isola passa anche il progetto della strada rialzata per collegare l’Egitto e l’Arabia Saudita, finanziato dal colosso di costruzioni Bin Laden, ed ecco che la questione insoluta torna a bomba.
Riad, altrimenti così solerte nel presidiare i suoi fortini in Medio Oriente e in Africa – dai raid sferrati in Yemen contro i ribelli filoiraniani, alle guerre per procura della cosiddetta Primavera araba – non muove un dito per riavere indietro questi territori. Davvero l’occupazione israeliana di Tiran e Sanfir è finita nel 1982? Da decenni l’intelligence di Tel Aviv è vicina a quella saudita, alleata degli Usa. A maggior ragione lo è con il disgelo tra Stati Uniti e Iran.
Gli israeliani alla fine non si curano a chi sulla carta appartengano le isole, basta avere mano libera in una zona centrale sia per gli interessi commerciali (a nord c’è anche il canale di Suez) sia per i movimenti degli arabi tra il Medio Oriente e il Nord Africa. Il Sinai e a sud, tutto il mar Rosso e in particolar modo le coste eritree fino all’altro stretto strategico di Bab el Mandeb, tra Yemen e Gubuti, sono attentamente monitorate dai servizi israeliani.
Con il pretesto della lotta alla pirateria in Somalia il mar Rosso è affollato di navi e sistemi militari stranieri. L’Eritrea, unico stato non islamico della regione, è un altro tassello del cordone sanitario degli israeliani tra Asia e Africa. In queste acque così piene di occhi ed orecchie c’è poi un’altra storia di isole contese, anche in questo caso con sospette manovre israeliane.
Nel 1995 l’arcipelago di Hanish, a nord di Bab el Mandeb ed esattamente a metà strada tra Eritrea e Yemen, fu oggetto di un breve ma intenso scontro militare tra i due Paesi, con lo Yemen che accusava Israele di sostenere Asmara. Un arbitrato internazionale avrebbe poi assegnato la sovranità di queste isole allo Yemen, ma le insinuazione sugli israeliani nel Corno d’Africa non sono mai finite. Agli eritrei, gli houti yemeniti bombardati dai sauditi rinfacciano oggi anche di dare truppe e basi militari a Riad.
La cooperazione militare è sicuramente aumentata. Ad aprile il dittatore eritreo Isaias Afewerki è volato dai reali sauditi per firmare un «accordo bilaterale militare e di sicurezza», contro il «terrorismo, il commercio illegale e la pirateria nel Mar Rosso» e per «discutere di Yemen». Asmara sta con Riad e, naturalmente, anche con Israele.
Formalmente l’ex colonia italiana è nell’asse dei non allineati con Russia e Iran. Ma in realtà, secondo gli analisti d’intelligence Usa, agli israeliani il regime di Afewerki avrebbe fatto installare una stazione d’ascolto ad Amba Soira e concesso loro un attracco nell’arcipelago delle isole Dahlak. La più grande base israeliana fuori da Israele, stando alle fonti arabe, secondo le quali nella zona Israele accumulerebbe anche scorie nucleari.
Effetto dell’asse Arabia Saudita-Israele-Eritrea sarebbe anche la recente riabilitazione di Afeworki a interlocutore internazionale. L’Ue negozia con l’Eritrea un pacchetto di aiuti allo sviluppo di oltre 300 milioni di euro. Anche l’Italia, con il regime che perseguita e uccide gli oppositori – una Commissione ONU esamina “possibili crimini contro l’umanità” – è pronta a concordare un accordo sui migranti. Il canale con Asmara è stato di recente riaperto dall’ex sottosegretario agli Esteri Lapo Pistelli, ora vicepresidente dell’Eni.
(08/08/2015 Fonte: Africa Express)
Corno d’Africa – Guerra di spie sul Mar Rosso
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