Il coronavirus comincia a far paura anche in Africa. Ma sembra essere cambiato il paradigma: se fino a qualche settimana fa l’Africa teneva col fiato sospeso il mondo, ora è il mondo a tenere col fiato sospeso l’Africa. Non vi è dubbio che, per ora – la cautela è d’obbligo –, i casi certi registrati nel continente sono per la maggior parte relativi a cittadini tornati dall’Europa o di cittadini europei, francesi e italiani, oltre che a un caso, in Egitto, arrivato dalla Cina. Il continente, dunque, si prepara all’epidemia e molti Paesi africani hanno adottato misure molto drastiche nei confronti di chi arriva dall’Europa o dai Paesi maggiormente colpiti dall’epidemia. In alcuni le misure sono di contenimento, in altri di quarantena per i cittadini che arrivano, per esempio dall’Italia, altri ancora hanno chiuso le frontiere. L’elenco è molto lungo.
Fino ad ora i casi confermati – ma i numeri sono in costante aggiornamento – in Africa sono 27 e sette i Paesi colpiti: Egitto, Algeria, Marocco, Nigeria, Senegal e Sudafrica. Il Paese più colpito è l’Algeria, con 17 casi in tutto, e l’altro è il Senegal con 4. Numeri che per ora non allarmano. Ciò che invece preoccupa è la fragilità del sistema e la capacità di risposta a un’esplosione dell’epidemia. I sistemi sanitari europei, con il progredire della diffusione, rischiano di entrare in crisi. In Africa questo pericolo è ancora maggiore.
Solo pochi dati per capire. Secondo l’Onu, il continente africano ospita solo il 3% del personale medico mondiale, nonostante sopporti oltre il 24% del carico globale di malattie. La media italiana è di circa 376 medici per 100mila abitanti, in Africa è di 4,5 per 100mila abitanti. E, nonostante la debolezza del sistema, l’accesso all’assistenza sanitaria è limitato dalla capacità di pagamento dell’individuo. In Kenya, per esempio, una percentuale enorme di famiglie povere non può permettersi l’assistenza sanitaria. Circa 4 keniani su 5 non hanno accesso all’assicurazione medica, con l’inevitabile esclusione di una fetta importante della popolazione dai servizi sanitari di qualità. Uno scenario replicabile in tutta l’Africa subsahariana. Insomma, se paghi vieni curato. Le malattie infettive sono la causa del 40% dei decessi nei Paesi in via di sviluppo, l’1% in quelli industrializzati. Vi è, inoltre, una mancanza di capacità diagnostica e dei supporti tecnici di cura, come le terapie intensive. L’accessibilità alle strutture sanitarie non è garantita. Le distanze, spesso, non consentono alle persone di usufruire dei servizi di base.
L’Africa è a rischio anche per le strette relazioni che intrattiene con la Cina. La mobilità è enorme. Si calcola, per difetto, che in tutto il continente ci siano oltre 2 milioni di lavoratori cinesi, presenti non solo nelle aree urbane ma anche in quelle rurali. Sono più di 10mila le imprese e nel settore delle infrastrutture è cinese più del 50% delle aziende. I contagi potrebbero esserci stati, anche se non diagnosticati. Ma tutto ciò non sembra far paura. La più grande compagnia aerea dell’Africa, Ethiopian Airlines non ha cancellato i voli per la Cina. Il capo della compagnia, Tewolde Gebremariam, ha spiegato che fermare i voli per la Cina non è la soluzione per combattere la diffusione del coronavirus. Altre compagnie, invece, hanno chiuso i voli diretti: South African Airways, Royal Air Maroc, Air Tanzania, Air Mauritius, EgyptAir, RwanAir e Kenya Airways. L’ambasciatore cinese in Sud Sudan, Hua Ning, sostiene che l’epidemia di coronavirus in alcune parti del mondo non interferirà con i progetti cinesi nel Paese. Circa duemila cittadini cinesi stanno lavorando a vari progetti nel Sud Sudan. Il business, dunque, non si ferma.
Occorre infine sottolineare che l’Africa ha affrontato e sta affrontando epidemie tremende. Dal 2014 al 2016 ebola ha provocato 11.310 vittime in Liberia, Guinea e Sierra Leone. Nel 2018 si è registrato il ritorno del virus in Repubblica democratica del Congo. Mosoka Fallah, esperto di malattie infettive, che ha guidato gli sforzi della Liberia per contenere l’ebola, ha spiegato alla Bbc che la Liberia è relativamente ben attrezzata per affrontare il coronavirus proprio in virtù dell’esperienza maturata. Sono aumentati di numero anche i Paesi che hanno la disponibilità dei test diagnostici. Il direttore della rete internazionale dell’Istituto Pasteur, l’epidemiologo Pierre-Marie Girard, ai microfoni di TV5Monde Info ha spiegato: «Tre pazienti del Marocco e due di Dakar venivano dall’Europa. I Paesi africani arrivano preparati all’emergenza: sono stati infatti distribuiti dei test di laboratorio completi con l’obiettivo di rintracciare nel minor tempo possibile le persone contagiate. Lo scenario peggiore? Una rapida diffusione del virus. Non è stato ancora trovato il paziente zero, che ora quindi può contagiare altre persone». L’Africa, per ora, si sta proteggendo dalle minacce che arrivano dall’esterno. Le misure per il contenimento del virus sono diverse da Paese a Paese.
Paesi che vietano l’ingresso a cittadini provenienti dall’Italia o da altri stati a rischio: Angola, Capo Verde, Madagascar, Mauritius, Seychelles.
Paesi in cui è prevista la quarantena per i passeggeri che arrivano dall’Italia: Benin, Ciad, Repubblica del Congo, Eritrea, Kenya (questo Paese ha sospeso i voli diretti da Milano e Verona verso Mombasa e ha dichiarato le località sulla costa dell’Oceano Indiano ad alto rischio diffusione coronavirus), Liberia, Malawi, Mauritania, Mozambico, Nigeria (oltre ai controlli all’arrivo per tutti i passeggeri, quelli provenienti dall’Italia vengono inseriti in una particolare lista di osservazione), Uganda, Zambia, Botswana.
Altri Paesi adottano controlli sanitari negli aeroporti per tutti i passeggeri e procedure di contenimento se necessarie. Lo Zimbabwe, invece, al momento non prevede restrizioni legate al coronavirus.
Anche questo elenco è in continuo aggiornamento con l’evolversi dell’epidemia e, quindi, occorre consultare il sito www.viaggiaresicuri.it, l’unico punto di riferimento certo per chi viaggia.
(Angelo Ravasi)