Coronavirus | L’Africa sa di essere il tallone d’Achille

di Pier Maria Mazzola
tosse

L’Africa non appare finora colpita dall’epidemia in corso. Gli oltre 200 casi sospetti non sono stati confermati; rimane finora un caso conclamato, quello di un cittadino cinese in Egitto.

Il continente appare in ogni caso poco preparato ad affrontare il Covid-19; all’inizio del suo diffondersi, le capitali in grado di individuare il Coronavirus erano due, oggi sono 26 i Paesi africani in grado di farlo, secondo quanto dichiarato dalla direttrice generale dell’Oms per l’Africa, Matshidiso Rebecca Moeti, sabato ad Addis Abeba nel corso di una riunione dei ministri della Sanità dei Paesi dell’Unione africana.

Presenziava alla riunione anche il direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità, l’etiopico di origine eritrea Tedros Adhanom Ghebreyesus, che ha sottolineato «come manchino in numerosi Paesi africani gli apparecchi per l’assistenza respiratoria, e questo è motivo di preoccupazione». Dall’Oms è perciò partito un appello per il reperimento di 675 milioni di dollari al fine di aiutare anzitutto 13 Paesi ritenuti prioritari, che sono: Algeria, Angola, Costa d’Avorio, Etiopia, Ghana, Kenya, Mauritius, Nigeria, Rd Congo, Sudafrica, Tanzania, Uganda, Zambia. Si tratta dei Paesi che mantengono le relazioni più intense con la Cina.

Collegamenti aerei: chi li interrompe e chi no (e perché)

L’aeroporto sudafricano di Johannesburg, in particolare, viene considerato il punto d’ingresso più probabile all’interno di un continente che, come lo definisce il settimanale Jeune Afrique, è da considerarsi in questa epidemia il «tallone d’Achille» benché fra tutte le regioni del mondo la più indenne – a meno che i primi contagiati non siano semplicemente stati identificati.

A ogni buon conto, il Sudafrica ha cancellato, nonostante l’insistenza della Japan Football Association, l’amichevole con il Giappone che doveva disputare il 27 marzo a Kyoto. Anche la nazionale olimpica della Costa d’Avorio sarebbe attesa in Giappone, il 30 marzo, per un match “di riscaldamento” in vista delle Olimpiadi di luglio-agosto.

Quanto ai voli con e dalla Cina, diverse compagnie aeree africane, tra cui quella keniana, li hanno interrotti; le altre, tra cui Ethiopian Airlines, che da sola assicura la metà dei collegamenti con la “terra di mezzo”, continuano i loro viaggi. Bisogna dire che l’Oms non ha consigliato restrizioni, limitandosi a fare un energico richiamo di attenzione soprattutto ai 13 Paesi predetti. Posizione ribadita dal presidente della Commissione dell’Ua, Moussa Faki Mahamat, con un vigoroso appello ad «adottare misure drastiche di prevenzione e di controllo».

Da parte sua, in un articolo apparso su Nature, il direttore di Africa Centers for Disease Control and Prevention, dr. John Nkengasong, osserva che, sì, nel 2002, in Africa si registrò un solo caso di Sars (in Sudafrica), ma che «il traffico aereo tra Cina e Africa è cresciuto di oltre il 600% in quest’ultimo decennio»

Annotiamo, a margine, che alla riunione dell’Oms di sabato nella capitale etiopica era presente anche l’ambasciatore cinese presso l’Unione africana (Ua), Liu Yuxi, il quale ha esortato ad alleggerire le restrizioni sugli spostamenti. «Il panico eccessivo – ha affermato – potrebbe in realtà far aumentare la malattia». E in effetti non mancano i Paesi africani sensibili a non compromettere le relazioni con Pechino. (Anche senza arrivare al punto della Guinea Equatoriale che ha annunciato una donazione alla Cina…).

Quel che già è certo: l’impatto economico 

Se dal punto di vista sanitario il clima è ancora quello di attesa e ci si prepara, coi mezzi disponibili, al peggio, nell’ottica economica le conseguenze si sentono già. Pochi dati sono sufficienti a dare la misura di quanto sta accadendo. A partire dal calo dei prezzi delle materie prime, determinati dalla ridotta domanda cinese. Meno 14% per il petrolio di Algeria, Angola, Congo, Gabon, Nigeria. Per questo motivo il Fondo monetario internazionale sabato ha ridotto le stime di crescita del gigante nigeriano, essendo i prezzi del greggio nuovamente scesi al di sotto dei 57 dollari al barile.

Inoltre, meno 8% per i minerali di ferro di Guinea, Mauritania, Nigeria, Sudafrica. Meno 7% per il rame di Rd Congo, Uganda e Zambia – per quest’ultimo è la prima voce tra le esportazioni e, si rilevava un anno fa, stava conoscendo un buon periodo. E si potrebbe continuare con il caffè, settore già in crisi, l’olio di palma, la carne namibiana, il vino sudafricano… Senza contare il settore turistico: in Kenya  e altri Paesi, i cinesi ormai arrivavano a frotte e gli introiti si contavano in centinaia di milioni di dollari.

Le proiezioni di un recente rapporto di Set (Supporting Economic Transformation) – ma basato su dati già non recentissimi, visto che si fermano al 3 febbraio (l’emergenza era stata dichiarata dall’Oms il 28 gennaio) – parla di 4 miliardi di dollari mancanti all’appello nell’export dell’Africa subsahariana. Una briciola a confronto dell’economia globale (-360 miliardi di dollari), ma una somma già significativa per l’economia della regione.

(Pier Maria Mazzola)

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