Il pronunciamento della Corte di Cassazione francese sul vicepresidente della Guinea Equatoriale Teodorin Nguema Obiang apre oggi la strada a una serie di processi ad alcuni “dinosauri” africani, e alle loro famiglie predatrici, in materia di corruzione, riciclaggio e appropriazione indebita di beni pubblici. A Parigi, mercoledì pomeriggio, la Cassazione ha respinto il ricorso dei legali del politico equatoguineano, definitivamente condannato per riciclaggio, abuso di beni aziendali e appropriazione indebita di denaro pubblico. Dopo la sentenza di Appello la difesa di Nguema, con il ricorso, aveva ritenuto che la giustizia francese non dovesse pronunciarsi su reati commessi all’estero (in Guinea Equatoriale), ma la Corte ha deciso diversamente.
Una decisione storica.
L’Alta corte francese ha ritenuto che la decisione resa dai giudici di Appello fosse effettivamente conforme alla legge francese. E così, da oggi la giustizia francese potrà pronunciarsi su malversazioni come questa, anche se avvenute all’estero. Sono una ventina i casi come quello di Nguema, decisamente il più clamoroso per l’opulenza dei beni sequestrati, in mano alla giustizia francese e che ora potrebbero sbloccarsi: quello più emblematico del continente africano è relativo alla famiglia del presidente congolese Denis Sassou-Nguesso. Per il momento la giustizia francese ha incriminato la figlia, il genero e il nipote del presidente, sospettati “di riciclaggio e di appropriazione indebita di fondi pubblici”. C’è poi la vicenda che riguarda la famiglia di Omar Bongo, ex-presidente del Gabon: nessun familiare è stato per ora indagato ma la banca francese Bnp paribas è stata di recente incriminata per “riciclaggio, corruzione e appropriazione indebita di fondi pubblici” in seguito all’indagine sui beni francesi della famiglia del defunto presidente.
Trasparency International segnala che ci sono poi altri casi in fase di studio: paesi come Gibuti, Egitto o Tunisia sono nel mirino della giustizia francese, con un’altra ventina di Paesi del mondo, Libano incluso.
Tornando al caso guineano, Nguema dovrà ora versare 30 milioni di euro di risarcimento alla Francia, che potrà vendere i beni sequestrati (il cui valore è stimato in 150 milioni), e dovrà scontare tre anni di reclusione in Francia. Una sentenza che difficilmente sarà onorata, visti i precedenti di Nguema con la giustizia americana e internazionale, ma che tuttavia fa salire il debito economico-giudiziario globale del vicepresidente guineano a circa mezzo miliardo di dollari. La Guinea Equatoriale potrebbe diventare il primo Paese a beneficiare del nuovo meccanismo di ripristino dei beni illeciti studiato dalla Francia: la scorsa settimana i deputati francesi hanno adottato questo dispositivo che permette di restituire alle popolazioni le somme derivanti dalla vendita dei beni confiscati.
La battaglia legale tra la famiglia regnante della Guinea Equatoriale, al potere dal 1979, e la giustizia francese va avanti da 14 anni e ha visto clamorosi colpi di scena, sequestri record, udienze in tribunale simili a incontri di pugilato e tanta sofferenza da parte del popolo guineano. La Francia ha sequestrato un palazzo intero in avenue Koch a Parigi, ufficialmente sede dell’ambasciata guineana, e una collezione di una ventina di auto di lusso e sportive, oltre a quadri, preziosi e altro. Ora bisognerà vendere i beni di Nguema, il cui ricavato sarà inserito in una linea di bilancio gestita direttamente dal ministero degli Affari Esteri e destinati a progetti di aiuto allo sviluppo in Guinea Equatoriale, progetti che passeranno attraverso Ong internazionali o locali o attraverso l’Agenzia francese per lo sviluppo.
(Andrea Spinelli Barrile)