L’assoluzione definitiva dell’ex presidente ivoriano Laurent Gbagbo da parte della Corte Penale Internazionale (Cpi) può essere considerata un passo avanti verso la riconciliazione, incompiuta, degli ivoriani, o al contrario, rischia di suscitare rancori e sentimenti vendicativi per l’ingiustizia che ha visto Gbagbo umiliato, detenuto e scartato dalla vita politica del proprio Paese per anni? E se Gbagbo e il suo coimputato, il suo alleato Charles Blé Goudé, sono stati dichiarati non colpevoli dei capi d’accusa (omicidi, stupri, persecuzioni e altri atti disumani) per i quali erano processati, chi sono i colpevoli per le violenze post-elettorali del 2010-2011 costate la vita a circa 3.000 persone in Costa d’Avorio? È stata davvero fatta giustizia? Cosa pensano le vittime, e cosa è stato delle responsabilità della parte avversa nel braccio di ferro che oppose i filo-Gbagbo ai filo-Ouattara?
Domande aperte e spunti di riflessione si moltiplicano dopo la storica decisione resa il 31 marzo dalla Camera d’appello del tribunale internazionale dell’Aja, che ha respinto il ricorso della procuratrice Fatou Bensouda contro l’assoluzione dei due imputati in primo grado. I magistrati non hanno avuto dubbi nel confermare che gli elementi di prove presentati dall’accusa erano insufficienti per dimostrare la colpevolezza degli imputati. Una vera e propria sconfitta per la procuratrice uscente, la magistrata gambiana, che si è concentrata su vicende africane durante il proprio mandato. Una concentrazione definita da alcuni un “accanimento”, allorché in altre parti del globo, e non solo dalla parte dei Paesi “poveri”, si verificano gravi violazioni e guerre.
Con la decisione su questo importante processo, esce rafforzato o indebolito il diritto internazionale? Hanno ragione quegli africani che vi vedono uno strumento delle potenze di sempre? Interrogativi che ora sono spunto di dibattito non soltanto a livello della Costa d’Avorio dove intanto ci si interroga anche sul ruolo della Francia, che, nella crisi elettorale si schierò a favore di Ouattara.
Per adesso, intanto, la certezza è la soddisfazione e il grande sollievo percepito tra i sostenitori e i famigliari di Gbagbo, a partire dalla moglie, Simone, che ha definito una vittoria “storica” e importante per il popolo nero. Anche l’ex First Lady ha trascorso anni in detenzione in Costa d’Avorio ed è stata imputata dalla Cpi per crimini contro l’umanità, ma assolta dalla stessa Corte dell’Aja nel 2017. Condannata dalla giustizia ivoriana per attentato alla sicurezza dello Stato, è stata liberata ad agosto 2018 con un’amnistia decretata dal presidente Alassane Ouattara per circa 800 detenuti imputati per reati legati al periodo della crisi del 2010-2011.
“È una vittoria per la democrazia e la giustizia”, ha detto Georges Armand Ouegnin, presidente della piattaforma Eds (Insieme per la democrazia e la sovranità), l’attuale coalizione politica di cui Gbagbo è figura di spicco. Ouegnin, come tutti i sostenitori di Gbagbo, auspicano un suo ritorno in patria in tempi rapidi.
Nel team della difesa di Gbagbo, si celebra “la vittoria di un uomo la cui innocenza è finalmente e pienamente riconosciuta. Il presidente Gbagbo ha sempre detto di credere nella giustizia. Oggi la giustizia è stata fatta”, si legge nel comunicato dei legali Emmanuel Altit, avvocato principale di Gbagbo, Agathe Baroan e Jennifer Naouri, consigliere associate. I legali dell’ex presidente leggono nella decisione della Camera della Corte d’appello anche un momento importante per la Costa d’Avorio: “il presidente Gbagbo ha sempre detto che il processo giudiziario consentirebbe di fare luce sulla la verità. La decisione (del tribunale) va nel senso di una vera riconciliazione”. Secondo l’esperta, neanche l’amnistia del 2018 è stato un passo positivo per la giustizia, perché “impedisce ai tribunali nazionali di perseguire crimini ai sensi del diritto internazionale o altre gravi violazioni dei diritti umani commessi nel 2010-2011 e si fa beffe degli obblighi della Costa d’Avorio ai sensi del diritto internazionale”. Che sia a livello nazionale o internazionale, le vittime delle violenze del 2010-2011 non hanno ancora ottenuto giustizia, né risarcimenti per i danni subiti.
Dall’Italia, la redazione di Africa Rivista ha chiesto la reazione di Paolo Sannella, ambasciatore italiano ad Abidjan tra il 2001 e il 2005 e già presidente del Centro relazioni con l’Africa. “La notizia dell’assoluzione di Laurent Gbagbo mi rende felice, perché della sua innocenza ero sicuro. E’ stato un uomo che ha sempre lottato per il multipartitismo e la pace… Il suo motto era andiamo alle urne non alle armi”. Il rapporto di Gbagbo con l’Italia fu speciale, poiché fu proprio durante la sua visita ufficiale a Roma, che iniziò il colpo di Stato che fu condotto nel 2002, tra il 18 e il 19 settembre e che di lì a poco avrebbe aperto il capitolo di un conflitto interno decennale le cui ferite non si sono ancora rimarginate. “Il 18 settembre – ricorda Sannella – io e Gbagbo ci trovavamo entrambi a Roma dove il capo di Stato ivoriano aveva deciso di compiere il suo primo viaggio in Europa, privilegiando l’Italia alla Francia, tradizionale meta dei primi viaggi di qualunque capo di Stato africano francofono”. L’ambasciatore ricorda ancora come lo avesse affascinato la vista dei Fori imperiali e come avesse apprezzato da storico e conoscitore del latino quello che la storia di Roma e dei suoi monumenti sa trasmettere. “La sera – continua Sannella – ci trovavamo insieme alla Camilluccia, nella residenza dell’ambasciatore ivoriano – quando sia lui che io cominciammo a ricevere notizie su attacchi armati ad Abidjan”. Erano attacchi inaspettati condotti dalle sedicenti Forze nuove, secondo l’ambasciatore assolutamente non previsti e di fronte ai quali il disorganizzato esercito ivoriano si dimostrò incapace di rispondere sulle prime. “Quell’attacco portò alla morte del ministro degli Interni, furono assaltate le residenze del ministro della Difesa e di quello degli Esteri. Poche centinaia di uomini armati, si seppe dopo entrati dal Burkina Faso, erano riusciti a mettere in scacco e dal nulla l’intero Paese”. Nel racconto di Sannella emergono anche le posizioni che la Francia, ex potenza coloniale, assunse in quei frangenti: “Gbagbo aveva deciso di far ritorno immediatamente ad Abidjan, annullò una visita al Papa e si imbarcò sul suo aereo, rifiutando un invito di Chirac a recarsi invece a Parigi” prosegue Sannella. L’aereo in realtà partirà solo dopo due giorni, perché nel frattempo i militari francesi di stanza ad Abidjan avevano sostenuto di non poter garantire la sicurezza dell’aeroporto. Sul perché la Francia assunse posizioni così ostili nei suoi confronti, per Sannella resta incomprensibile, poiché, se è vero che era un autentico nazionalista, “un innamorato del suo Paese, della sua cultura”, secondo l’ambasciatore non aveva intenzione di rompere i rapporti con la Francia. Quei giorni di settembre 2002 segnarono i successivi 20 anni della Costa d’Avorio, che per alcuni anni risultò diviso in due parti: i ribelli a nord, le forze governative a sud. “Poi arrivò la tentata offensiva di Gbagbo – conclude Sannella – la vicenda legata a un presunto raid ivoriano a Bouaké seguito da una risposta della Francia (episodi oggetto di un processo in Francia e cronaca di questi giorni), la mediazione internazionale, le elezioni del 2010 e le successive contestazioni dei risultati e le violenze post-elettorali costate la vita a 3000 persone. Fatti per i quali Gbagbo era stato chiamato in causa alla Corte penale internazionale che l’altro ieri lo ha scagionato.
(Gianfranco Belgrano/Céline Camoin)