Alassane Ouattara ha sciolto la riserva: si candiderà per un terzo mandato alle elezioni presidenziali di ottobre in Costa d’Avorio. Una decisione attesa e data per scontata da molti. Questa candidatura sembrava già data per certa dopo la morte, all’inizio di luglio, del suo delfino, l’ex primo ministro Amadou Gon Coulibaly, designato come candidato del partito di maggioranza, ma Ouattara ha voluto prendersi del tempo per decidere.
Il capo dello Stato ivoriano ha ufficializzato la sua candidatura, ieri, parlando di «caso di forza maggiore» e di un «dovere civico». «Questa decisione – ha detto Ouattara – rappresenta un vero sacrificio per me, che assumo pienamente, per amore del mio Paese». A marzo, Alassane Ouattara, che termina il suo secondo mandato a 76 anni, aveva comunque dichiarato di voler «fare spazio ai giovani» alle prossime elezioni presidenziali del 31 ottobre. Prima di nominare il suo primo ministro Amadou Gon Coulibaly come candidato del partito al governo, il Rassemblement des Houphouëtistes pour la democratie et la paix (Rhdp).
Ma la morte inaspettata di quest’ultimo a 61 anni per infarto, l’8 luglio, ha sconvolto questo scenario che sembrava ben oliato, costringendo l’Rhdp a trovare un nuovo candidato. Non appena terminato il funerale del primo ministro, diversi leader Rhdp avevano preso una posizione pubblica a favore della candidatura di Alassane Ouattara per un terzo mandato.
La sfida elettorale si giocherà, dunque, tra Ouattara e il suo rivale Henri Konan Bédié, presidente del Partito Democratico della Costa d’Avorio (Pdci), all’opposizione, che ha promesso di istituire «un governo di salute pubblica, aperto a tutte le principali sensibilità politiche» del Paese, se verrà eletto alle presidenziali del 31 ottobre 2020. Bédié ha anche definito «illegale» una candidatura di Ouattara per un terzo mandato. In un’intervista a France 24, l’ex presidente ivoriano ha negato che i suoi 86 anni possano costituire uno svantaggio alle prossime presidenziali. Bédié chiede, inoltre, il ritorno nel paese dell’ex presidente Laurent Gbagbo, con il quale ha annunciato di aver raggiunto un accordo per una possibile alleanza elettorale al secondo turno: un’alleanza tra ex presidenti, anche se Laurent Gbagbo non è candidato, a cui si unirebbe anche Guillaume Soro – nonostante la condanna a 20 anni non ha rinunciato alla sua candidatura alle presidenziali, anche se è costretto a vivere all’estero per evitare il carcere – che si è detto d’accordo a fare fronte comune contro una candidatura di Ouattara.
Tuttavia, non è ancora chiaro se Gbagbo, che risiede in Belgio, accetterà la richiesta del proprio partito il Fronte popolare ivoriano di tornare in patria dopo essere stato assolto dall’accusa di crimini di guerra dalla Corte penale internazionale lo scorso anno.
Il cambio generazionale auspicato da Ouattara non ci sarà e saranno ancora i gerontocrati a contendersi il potere in Costa d’Avorio.
Di sicuro dopo la decisione di Ouattara si scateneranno le polemiche intorno al nodo giuridico se può o meno candidarsi per un terzo mandato. La Costituzione prevede il limite di due mandati. L’opposizione si aggrappa a questo, ed è comprensibile. La maggioranza, invece, sostiene che un terzo mandato sia possibile proprio perché la nuova Costituzione del 2016 ha rinnovato l’intera architettura istituzionale del Paese e non può quindi essere considerata, in continuità, con la precedente. Dunque a livello teorico Ouattara si potrebbe candidare per altri due mandati. Occorre sottolineare che una discussione in punta di diritto, oggi, serve a poco.
Di certo la morte del primo ministro ha, in qualche modo, «fragilizzato» lo scenario politico, oltre ad avere molto indebolito il partito di maggioranza. Per l’Rhdp non vi era altra soluzione che ricandidare il presidente uscente. Non c’è, all’interno del partito, un candidato che avrebbe potuto, sul piano elettorale, offrire adeguate garanzie e che potesse avere un consenso unanime. Ouattara ha un’influenza che nessun altro riesce ad esercitare. Per questo la candidatura di Ouattara è stata la soluzione più semplice per il partito.
Poi ci sono i fantasmi del passato. Il Paese ricorda ancora la crisi del 2010 quando si scatenò una vera e propria guerra civile, ci furono più di 3mila morti. Sono molti gli analisti che non credono che si possa ripresentare uno scenario come quello del 2010, di sicuro ci sarà un inasprimento del clima politico, anche perché un evento traumatico come la morte del primo ministro può portare a conseguenze imprevedibili. Tuttavia, questa, è una crisi tutta interna al partito di governo. Non ci sono, fortunatamente, avversari che possano approfittare della fragilità istituzionale per mettere in atto un colpo di mano. Il Fronte popolare non ha la forza e la capacità di mettere in atto uno scenario di questo tipo. Il partito di Bédié, il Pdci, non ha nel dna questo tipo di soluzione. Nel Paese non ci sono soggetti che possano dare una spallata a un’architettura istituzionale seppur fragilizzata. E poi non c’è il contesto internazionale.
Questa fragilità e debolezza non può pesare su un Paese che deve tornare a crescere e che ha bisogno solo di stabilità. La Costa d’Avorio non può perdersi in alchimie politiche, sono necessarie soluzioni economiche che possano risollevarla dalla crisi e farla tornare ad essere la locomotiva dell’Africa Occidentale.
(Angelo Ravasi)