Cresce la tensione in Costa d’Avorio in vista delle elezioni presidenziali previste per il 31 ottobre. Alcune manifestazioni di protesta si sono svolte nei giorni scorsi, disperse dalle forze dell’ordine e innescate dalla decisione del presidente uscente, Alassane Ouattara, di presentarsi per un terzo mandato. E il governo ha deciso di “sospendere” tutte le manifestazioni pubbliche fino al 15 settembre, consentendo solo quelle in luoghi chiusi. Una decisione – quantomeno inopportuna in una democrazia – che arriva una settimana dopo queste manifestazioni degenerate, poi, in violenza e che hanno provocato, secondo un rapporto ufficiale, sei morti, cento feriti, 1500 sfollati interni, 69 persone arrestate e ingenti danni materiali. Il divieto governativo prende proprio le mosse da questo bilancio per impedire «di aprire sacche di conflitti comunitari».
Groviglio politico
L’opposizione punta il dito contro il presidente sottolineando che la Costituzione del Paese prevede solo due mandati presidenziali. L’opposizione si aggrappa a questo ed è comprensibile. Dal canto suo Ouattara e la maggioranza di governo sostengono che un terzo mandato sia possibile proprio perché la nuova Costituzione del 2016 ha rinnovato l’intera architettura istituzionale del Paese e non può quindi essere considerata in continuità con la precedente. La candidatura di Ouattara, sostengono, è legittima, sottolineando che l’attuale presidente potrebbe candidarsi anche per un quarto mandato. Tutti si augurano che la vicenda si risolva in punta di diritto, anche se sembra molto difficile che accada. La confusione politica nel Paese è alta, non solo nel partito di maggioranza, ma anche tra i ranghi dell’opposizione. Fragilità istituzionale e politica che si evidenziano guardando semplicemente all’età dei candidati forti alla presidenza: Ouattara 76 anni, l’ex presidente Henri Konan Bédié 86. Il presidente uscente nel marzo scorso aveva annunciato la volontà di non ricandidarsi «per lasciare spazio alle nuove generazioni» e successivamente aveva designato il suo primo ministro, Amadou Gon Coulibaly (61 anni), come successore e candidato alle presidenziali. La malattia e la morte del premier, l’8 luglio, hanno rimescolato le carte, gettando nel caos il Rassemblement des Houphouëtistes pour la democratie et la paix (Rhdp), partito di governo. L’unica scelta possibile, a quel punto, era riproporre la candidatura di Ouattara, in grado di ricompattare il partito anche dopo la defezione dell’ex ministro degli Esteri, Marcel Amon-Tanoh, ex braccio destro del presidente, che ha deciso di candidarsi e di fondare un suo partito.
Tutti contro Ouattara
La sfida elettorale si giocherà, comunque, tra Ouattara e il suo rivale Henri Konan Bédié, presidente del Partito Democratico della Costa d’Avorio (Pdci), all’opposizione, che ha promesso di istituire «un governo di salute pubblica, aperto a tutte le principali sensibilità politiche del Paese», se verrà eletto alle presidenziali del 31 ottobre. Bédié ha anche definito illegale una candidatura di Ouattara per un terzo mandato. Bédié chiede, inoltre, il ritorno nel Paese dell’ex presidente Laurent Gbagbo, con il quale ha annunciato di aver raggiunto un accordo per una possibile alleanza elettorale al secondo turno: un’alleanza tra ex presidenti, anche se Laurent Gbagbo non è candidato, a cui si unirebbe Guillaume Soro (nonostante la condanna a 20 anni non ha rinunciato alla candidatura alle presidenziali, anche se è costretto a vivere all’estero per evitare il carcere) che si è detto d’accordo a fare fronte comune in un eventuale ballottaggio contro Ouattara, per scongiurarne la vittoria. Ad accendere la miccia delle proteste, tuttavia, è stata l’ex first lady ivoriana, Simone Gbagbo, che ha rotto il suo tradizionale silenzio definendo la candidatura di Ouattara «irricevibile» e sostenendo che un capo di Stato «non può dire una cosa e smentirsi immediatamente dopo. Soprattutto di fronte alla nazione. Il rispetto per la propria parola deve essere più che mai osservato in politica».
Il caso Gbagbo
Le proteste, infatti, sono scoppiate proprio a Bonoua, cittadina d’origine dell’ex first lady. Una manifestazione di protesta, che si è tenuta nonostante il divieto imposto dalle autorità, è sfociata in violenze dopo l’intervento delle forze dell’ordine e l’uccisione di un giovane, sembra colpito a morte dagli spari della polizia. Il commissariato è stato incendiato, mentre alcuni dimostranti si sono rivoltati contro gli agenti e contro lo stesso commissario. Anche nella capitale economica Abidjan alcuni sostenitori dell’opposizione hanno sfidato il divieto di manifestare. La tensione è cresciuta anche a Daoukro, caposaldo di Bédié. Simone Gbagbo, inoltre, ha chiesto al presidente Ouattara di riconsiderare la condanna a 20 anni di carcere del marito come gesto di riappacificazione nazionale, chiedendo al capo dello Stato di approvare una legge sull’amnistia per rendere nuovamente eleggibile Laurent Gbagbo: «Lo invito a rilasciargli un passaporto diplomatico. È una questione di diritto. E lo invito a liberare tutti i prigionieri della crisi post-elettorale e a facilitare il ritorno di migliaia di esiliati». Tuttavia, non è ancora chiaro se Gbagbo, che risiede in Belgio, accetterà la richiesta del proprio partito, il Fronte popolare ivoriano, di tornare in patria dopo essere stato assolto dall’accusa di crimini di guerra dalla Corte penale internazionale lo scorso anno. Bonoua, inoltre, è sempre stato teatro di proteste. C’è solo da sperare che sia un episodio sporadico e non l’inizio di proteste più diffuse.
Equilibri precari
I fantasmi del passato, infatti, continuano ad aleggiare sulla Costa d’Avorio. Il Paese ricorda ancora la crisi del 2010 quando si scatenò una vera e propria guerra civile e più di 3mila furono i morti. Sono molti gli analisti che non credono che si possa ripresentare uno scenario come quello del 2010, di sicuro ci sarà un ulteriore inasprimento del clima politico. Non ci sono comunque soggetti che possano approfittare della fragilità istituzionale e politica per mettere in atto un colpo di mano. Il Fronte popolare non ha la forza e la capacità di mettere in atto uno scenario di questo tipo. Il partito di Bédié, il Pdci, non ha nel dna questo tipo di soluzione. Nel Paese non ci sono soggetti che possano dare una spallata all’architettura istituzionale seppur fragilizzata. Non si intravedono, inoltre, le condizioni, a livello regionale e a livello internazionale, perché uno scenario simile a quello del 2010 si possa ripetere. Ancor più oggi dopo il colpo di Stato in Mali, un Paese afflitto da profondi problemi sociali ed economici e squassato dal terrorismo che sta minacciando anche la Costa d’Avorio: una preoccupazione in più per il governo ivoriano che deve fronteggiare, nel nord del Paese – proprio al confine con il Mali e il Burkina Faso – questa minaccia. Poi c’è la Francia, ex potenza coloniale, che esercita ancora un’influenza importante nel Paese e non ha nessuna intenzione di perderla. Una Costa d’Avorio fragile e instabile non è nei piani di nessuno. Basti pensare che appena prima dell’esplosione della pandemia il porto di Abidjan movimentava il 40 per cento delle merci della regione, oltre che la metà della massa monetaria. Non è un caso, infatti, che la decisione di mettere fine al franco Cfa, la cosiddetta moneta coloniale, sia stata annunciata dal presidente francese, Emmanuel Macron, proprio durante la sua ultima visita ad Abidjan, durante una conferenza stampa congiunta con il capo di Stato ivoriano, Ouattara. Rimane, e forte, l’incognita etnica. Il rischio è che i falchi, di tutte le parti politiche, facciano leva sullo scontro-confronto etnico e questo non sarebbe un bene per il Paese. E le vicende etniche non si risolvono in punta di diritto, ma attraverso la mediazione politica. Non c’è, per ora, un soggetto autorevole e sopra le parti che possa condurre questa mediazione. Molto dipenderà dal partito al potere, ma anche dall’opposizione. Non è ancora chiaro se questa riuscirà a trovare una composizione, uscendo anch’essa dalla confusione, per affrontare dentro le urne il presidente uscente e lasciando scegliere ai cittadini ivoriani una nuova guida.
(Angelo Ravasi)