Turkana county, nord ovest del Kenya. Una persona si avvicina a una tanica di plastica appesa a un filo teso fra due alberi, allunga un piede e azionando un rudimentale meccanismo può lavarsi le mani senza toccare il tappo. Nello stesso momento in un negozio di Kigali gli avventori attendono il proprio turno rispettando scrupolosamente le distanze di sicurezza grazie a semplici cerchi rossi dipinti per terra, mentre a Bamako alcuni ragazzi osservano la stampante 3d del loro fab-lab completare una mascherina protettiva.
Sono solo alcune delle tantissime azioni di contrasto all’epidemia di Covid-19 che comunità locali, gruppi di giovani o singoli ideatori sparsi per il continente africano stanno mettendo in pratica quotidianamente e che un progetto italiano sta cercando di raccogliere e mappare.
L’iniziativa sviluppata dallo studio di progettazione Taxibrousse e dall’associazione Le Réseau si chiama “COVID FREE anti-epidemic participatory toolkit” e ha come obiettivo la disseminazione di soluzioni bottom-up semplici, creative ed economiche che amplino le opportunità di difesa soprattutto nelle comunità più svantaggiate.
Un progetto collettivo partito all’inizio di aprile a cui tutti possono contribuire attraverso un gruppo Facebook che raccoglie segnalazioni e idee e che conta già 650 membri da oltre trenta Paesi del continente. Le iniziative più interessanti sono poi inserite in un portale web dedicato e valutate da un gruppo di esperti in diversi ambiti tecnici, sanitari o di supporto alla micro-imprenditoria che ne analizzano possibilità di miglioramento e opportunità di implementazione.
Gran parte delle azioni locali finora raccolte riguardano la creazione di elementi per lavarsi le mani, dai metodi per realizzare da sè un Veronica bucket (il noto e diffusissimo secchio con rubinetto sul fondo ideato dalla dottoressa ghanese Veronica Bekoe) a tante soluzioni ingegnose per creare facilmente un tippy tap, il sistema a pedale realizzato con una tanica riciclata, corde e semplici elementi di supporto.
Azioni banali, apparentemente insignificanti rispetto alla pericolosità del contagio ma che proprio grazie alla loro estrema semplicità ed economicità sono facilmente riproducibili in qualsiasi contesto, aumentando così in maniera esponenziale il loro impatto sul contenimento dell’epidemia.
La rassegna non si limita però a soluzioni semplici e low-cost: sono molti i fab-lab o le start-up del continente che stanno lavorando a pieno ritmo a soluzioni tecnologiche e innovative per la lotta all’epidemia. Dalle applicazioni di auto-diagnosi e informazione che in molti casi funzionano anche in formato SMS per raggiungere aree non coperte dalla rete dati come la congolese Yebisaa alla stampa 3D di mascherine e visiere, fino a giungere alle sperimentazioni dell’Università del Botswana sull’utilizzo di droni per la disinfezione.
Infine, una parte delle buone pratiche individuate riguarda il tema fondamentale della corretta comunicazione e della lotta alle fake news: campagne informative dedicate a determinati settori della popolazione, metodi innovativi di comunicazione o sensibilizzazioni in lingue locali e l’avvio di un progetto rivolto alle diaspore in Italia per favorire una comunicazione corretta ed efficace verso i Paesi d’origine.
E la disseminazione inizia a dare i suoi frutti: alcuni fab-lab di Ouagadougou e Bamako hanno iniziato a scambiarsi idee e progetti mentre alcune foto dalla Sierra Leone mostrano i membri di un villaggio non lontano da Freetown intenti a provare il loro nuovo tippy-tap, realizzato a imitazione di quelli postati nel gruppo.
Una goccia nel mare rispetto all’avanzata dell’epidemia nel continente, eppure in realtà in cui le soluzioni tradizionali come quarantena e isolamento forzato sono difficilmente realizzabili quando non controproducenti anche azioni minime e semplici possono fare la differenza.
(Federico Monica)