Domani, 23 aprile, inizia il Ramadan. Il nuovo coronavirus cambierà anche il mese nel quale i musulmani (in Africa il 45% della popolazione) sono chiamati alla purificazione del corpo e dello spirito, digiunano dall’alba al tramonto. Nel continente, dove convivono diverse tradizioni islamiche, i musulmani dovranno fare i conti con le misure restrittive imposte dalle autorità dei vari Paesi per limitare il più possibile il diffondersi dell’epidemia. Difficilmente i fedeli potranno ritrovarsi insieme ogni sera con parenti e amici per mangiare, pregare, passare il tempo fino a tarda notte. Quasi ovunque poi è stata disposta la chiusura delle moschee e dei santuari. Per tutti i musulmani sarà poi toccante vedere vuoti e desolati i luoghi simbolo delle tre più importanti città sante dell’Islam: le spianate delle moschee di Mecca e Medina in Arabia Saudita, e quella della moschea al Aqsa di Gerusalemme.
Con ristoranti e locali pubblici di fatto chiusi dall’Oceano Atlantico al Golfo, e con l’imposizione del coprifuoco notturno in molti Paesi, sarà anche difficile immaginare di assistere alle tradizionali tavolate di iftar, il pasto serale in cui i musulmani rompono il digiuno.
Ad Algeri, Yamine Hermache, 67 anni, intervistato dalla Reuters, racconta che di solito riceve parenti e vicini a casa sua per tè e bevande fredde. Ma quest’anno teme che sarà diverso. «Non potremo visitarli e non potranno venire – ha detto, piangendo -. Il coronavirus ha spaventato tutti, anche gli ospiti». In un Paese in cui le moschee sono state chiuse, suo marito Mohamed Djemoudi, 73 anni, si preoccupa per qualcos’altro. «Non riesco a immaginare il Ramadan senza Tarawih», osserva, riferendosi alle preghiere aggiuntive eseguite nelle moschee dopo l’ifar.
Nel suk e nelle strade del Cairo, una città tentacolare di 23 milioni, il coronavirus è stato disastroso. «Le persone non entrano nei negozi, hanno paura della malattia. È l’anno peggiore di sempre – racconta Samir El-Khatib, che gestisce una bancarella presso la storica moschea di al-Sayeda Zainab -. Rispetto allo scorso anno, abbiamo avuto un calo delle vendite del 75%».
Durante il Ramadan, i commercianti di strada nella capitale egiziana impilano i loro tavoli con datteri e albicocche, frutti dolci per spezzare il digiuno. Ma quest’anno le autorità hanno imposto il coprifuoco notturno e vietato le preghiere comuni e altre attività.
Tra i pochi che si sono avventurati fuori c’era Nasser Salah Abdelkader, 59 anni, un dirigente del mercato azionario egiziano. «Quest’anno il clima intorno al Ramadan è diverso – dice -. Di solito venivo al mercato e fin dall’inizio la gente suonava musica, quasi vivendo per le strade».
In Senegal, il piano è di continuare la beneficenza in modo limitato. Nella capitale Dakar, enti di beneficenza che distribuiscono ndogou, baguette ricoperte di crema al cioccolato, torte, datteri, zucchero e latte ai bisognosi, le distribuiranno alle scuole coraniche piuttosto e non sulla strada.