Covid-19 | Se l’Africa si ammala meno del previsto

di Stefania Ragusa
Aeroporto di Brazzaville

“Coronavirus, il vero dramma è l’Africa”; “Coronavirus, bomba africana”;  “L’Africa non è pronta per un’epidemia”; “Coronavirus, Africa ad alto rischio”… Nelle settimane passate vari giornali hanno puntato su titoli come questi. Le cose, però, al momento stanno andando diversamente.
Certo, a  partire dal 14 febbraio, nel continente sono stati registrati diversi casi di Covid-19. In Senegal, per esempio, il Ministero della Sanità ha dato notizia di un quinto ammalato giusto ieri: si tratterebbe di un cittadino senegalese residente in Italia e atterrato all’aeroporto Blaise Diagne il 6 marzo.
I numeri del contagio non sono  però quelli annunciati e temuti, anche in relazione agli stretti rapporti commerciali con la Cina: al momento risultano solo 104 ammalati e 2 decessi. Il tutto su una popolazione stimata in oltre un miliardo e 300mila persone. Non solo: la maggior parte dei casi sembra essere stata “importata” dall’Europa,e non dalla Cina.
Gli scienziati, e non solo loro, si domandano come sia possibile. Il New Scientist, una delle testate di divulgazione scientifica più rigorosa tra quelle in circolazione, ha considerato alcune spiegazioni in un articolo documentato ma che non fornisce ancora una risposta esauriente.

Secondo Jimmy Whitworth, della London School of Hygiene and Tropical Medicine (Lshtm), una prima ragione potrebbe essere la prontezza con cui i vari Paesi hanno adottato le diverse misure di isolamento. In Congo, per esempio, tutte le persone provenienti da Paesi a rischio sono messe in quarantena, in albergo o al loro domicilio, e sorvegliate rigorosamente. Nella Repubblica democratica del Congo viene fatta la stessa cosa, seppure con modi un po’ più morbidi. Il Ruanda ha arruolato studenti di medicina dell’ultimo anno per gestire e supervisionare lo screening negli aeroporti. In Burkina Faso e in Costa d’Avorio si è optato per una sorta di “autoconfinamento” a domicilio.

Un altro fattore da prendere in considerazione potrebbe essere la giovinezza delle popolazioni africane. Il virus tenderebbe infatti a restare asintomatico proprio tra chi ha meno anni e un sistema immunitario più forte, sfuggendo quindi alle griglie di controllo. Questa ipotesi è suggerita da Vittoria Colizza, ricercatrice italiana che dirige a Parigi un laboratorio di eccellenza e co-autrice di uno studio recente sulla vulnerabilità dei Paesi africani al coronavirus. In effetti, se in Italia l’età media supera i 45 anni e in Cina siamo attestati appena sotto i 38, in Nigeria si arriva a mala pena ai 18.

Elementi che il New Scientist non sembra prendere in considerazione sono la temperatura e la latitudine. Al riguardo si è invece espresso il virologo Robert Gallo in un’intervista rilasciata all’Adn-Kronos: «Abbiamo notato che il virus si sta spostando all’interno di latitudini massime che hanno per ora escluso, per esempio, Russia e Africa, mentre sono toccati Paesi più o meno “paralleli” come Cina, Corea, Iran, Giappone (dove non si è diffuso al Sud), Italia… Non sappiamo ancora perché, forse è un fattore legato alle temperature, forse no. Ma è un elemento che ha senso tenere in considerazione».

Una cosa che in parecchi si chiedono è se i dati riportati dai Paesi africani siano attendibili. In altre parole: non è che l’epidemia è in corso ma in assenza di test ad hoc non viene rilevata? Mary Stephen, dottoressa a capo del Programma di emergenza sanitaria dell’Ufficio Africa dell’Oms, con sede a Brazzaville, lo esclude. Il sistema sanitario di molti Paesi africani è fragile, e questo è vero, ma la rete di monitoraggio integrata su scala continentale funziona e anche bene.
In una recente intervista Stephen ha spiegato: «A gennaio c’erano in Africa solo due laboratori in grado di eseguire il test sul Covid-19, uno in Senegal e l’altro in Sudafrica. Grazie allo sforzo dell’Oms, oggi questa presenza è garantita in 37 Paesi africani». Il sistema di sorveglianza integrato delle malattie è stato istituito nel 1998 dalla sezione africana dell’Oms per rafforzare il monitoraggio delle malattie e supportare i singoli Paesi nella risposta sanitaria. «I Paesi seguono le linee guida che forniamo loro e ci restituiscono dati completi su malattie come malaria, Hiv, morbillo, ebola, febbre gialla e ora anche Covid-19. Inoltre è previsto un modo per segnalare sintomi non meglio interpretabili, così abbiamo la possibilità di individuare anche malattie nuove».

Il “mistero” Africa al momento resta tale, ma l’esperienza fatta con ebola, di sicuro, non è passata invano.

 

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