Fatturati da capogiro – 65.000 dollari al minuto, 34 miliardi di dollari quest’anno – nelle casse di Pfizer, BioNTech e Moderna, hanno scandalizzato esponenti della People’s Vaccine Alliance, rete di organizzazioni non governative che ha esaminato i bilanci del trio detentore del vaccino contro il covid-19 di maggior successo in Europa e negli Stati Uniti. E mentre sul vecchio continente oltre il 70% delle persone è completamento vaccinato, in Africa, solo il 6% lo è, non tanto perché gli africani non vogliono il vaccino, bensì perché il lusso di poter scegliere se vaccinarsi o meno, per loro, non esiste. I vaccini, per l’Africa come per i Paesi meno avanzati, non sono accessibili.
Come si spiega un tale divario e perché suscita indignazione l’incasso miliardario delle aziende impegnate in queste preziose, ormai indispensabili, dosi salvavita? In poche parole, “perché le aziende farmaceutiche non vogliono condividere il loro know-how. Vogliono massimizzare il profitto e vogliono il monopolio più a lungo possibile. Ho lavorato con aziende farmaceutiche per circa 20 anni e non le ho mai viste fare qualcosa di buono se non per il proprio tornaconto”. Questa, la voce dell’egiziana Mohga Kamal-Yanni, consulente in politiche sanitarie da circa 40 anni, attualmente senior policy advisor per la People’s Vaccine Alliance e consulente per l’Unaids. Dal Regno Unito, dove risponde alle domande della rivista Africa, l’esperta fa un passo indietro e ci spiega il perché è indecente, come ha detto la sua collega Maaza Seyoum, assistere all’arricchimento a dismisura di un pugno di aziende, in piena pandemia, mentre sono quasi ignorati i Paesi a basso reddito.
“Questi vaccini non sono stati inventati da un giorno all’altro dalle aziende farmaceutiche, ma sono stati il frutto di anni e anni di ricerca finanziata dal settore pubblico, poiché buona parte della ricerca proviene dalle università. È la ricerca, la base di questi vaccini. L’anno scorso, sono arrivati nuovi finanziamenti pubblici a istituti di ricerca e compagnie farmaceutiche per accelerare e incoraggiare lo sviluppo dei vaccini, anche se la base della ricerca era già stata svolta”. La Pfizer, precisa la dottoressa Kamal-Yanni, ha affermato che non aveva ricevuto fondi pubblici “ma non è del tutto vero, perché la Pfizer ha prodotto un vaccino sviluppato dalla tedesca BioNTtech, che a sua volta ha avuto fondi diretti dal governo tedesco”. Inoltre, i governi, statunitensi e alcuni europei, hanno pagato in anticipo lo sviluppo e la consegna dei vaccini, e si sono anche fatti carico del rischio. “Le università fanno la ricerca, le aziende farmaceutiche lo sviluppo e i test, ma se il prodotto risulta fallimentare, l’ammontare finanziato è perso. È esattamente il caso per questi vaccini anti-covid: il rischio è stato preso dal pubblico”. In sintesi, i benefici miliardari non sono esattamente frutto degli investimenti privati delle stesse aziende, bensì, per una parte preponderante, di fondi pubblici, ovvero delle tasche dei cittadini. Una volta sviluppati e venduti, agli stessi governi, al prezzo più alto, i ricavi sono rimasti nei conti delle aziende farmaceutiche
“Avevo già allertato l’opinione su questo paradosso prima che arrivassero i vaccini, dicendo che governi, in particolare quelli dei Paesi ricchi e più influenti sulla grande industria farmaceutica, avevano scaricato alle aziende tre fondamentali decisioni da prendere: quanti vaccini produrre, dove sarebbero stati distribuiti e quanto sarebbero costati”. Essendo aziende in cerca di profitti, “è ovvio che hanno privilegiato la fornitura ai Paesi ricchi, capaci di pagare prezzi alti, rispetto a Paesi meno avanzati non in grado di pagare cifre elevate. Il parere di Mohga è intransigente: “Per loro, non importa se la gente muore nei Paesi più poveri. Basta che riescano a fare soldi”.
I governi dei Paesi più avanzati, dal canto loro, “sono stati talmente disperati per ottenere questi vaccini, chiave per uscire dalla crisi economica, dai lockdown e altri problemi, che hanno dimenticato il resto del mondo. E così facendo hanno dimenticato, o forse non hanno voluto pensarci, il fatto che i virus non rispettano le frontiere”. E che se vaccinano solo la propria gente, non impediscono al virus di spostarsi, di poter mutare in un altro Paese, e di tornare con una variante più forte che può rompere la cosiddetta barriera vaccinale. È proprio quello che sta accadendo in questo momento in Europa.
“Esiste un modo di vaccinare tutti o perlomeno di rendere i vaccini accessibili a tutti”, ritiene la Senior adviser, titolare dell’onorificenza Mbe (Member of the Order of the British Empire) “ed è quello che vedrebbe le nazioni ricche costringere le aziende farmaceutiche a condividere le conoscenze e la tecnologia con tutte le aziende in grado di produrre vaccini di qualità, per aumentare il numero delle dosi. Avrebbero potuto esercitare tale pressione, sottoponendo l’acquisto delle loro dosi alla condivisione del know-how”. Se questo fosse accaduto, molte aziende, anche in Paesi in via di sviluppo, avrebbero potuto produrre grandi quantità di vaccini.
Lo scorso ottobre, l’India e il Sudafrica hanno fatto una proposta – sostenuta da un centinaio di Paesi, persino dagli Stati Uniti – all’Organizzazione mondiale del commercio (Wto/Omc), quella del Trips Waiver (Trade-related Intellectual Property Rights), ovvero rinunciare temporaneamente ai diritti sulla proprietà intellettuale sui prodotti come vaccini, tamponi, medicinali, dispositivi per il personale sanitario e altri beni impiegati nella lotta alla pandemia. “Ma l’Europa e il Regno Unito stanno rifiutando, rifacendosi all’esistenza del meccanismo dei diritti volontari, del Covid technology access pool dell’Omc, che le aziende farmaceutiche, però, non seguono”.
Ma perché i nostri leader accettano tutto questo? Perché non alzano la voce per denunciare questo vortice tanto iniquo quanto pericoloso?
“Ogni Paese vuole salvare la propria economia, le proprie politiche, la propria salute nazionale. Vogliono avere accesso ai vaccini e non vogliono avere problemi con le aziende farmaceutiche. Tutto quello che contava all’inizio era garantirsi il massimo di dosi possibile – e le hanno avute – senza voler pensare al resto del mondo. Ma il dilemma non deve essere scegliere a chi poter dare o non dare i vaccini disponibili, ma come massimizzare la produzione globale di vaccini per tutti”, afferma Mohga Kamal-Yanni. “Abbastanza dosi per gli anziani italiani e il personale sanitario italiano, per gli anziani in Malawi e per i professionisti della salute del Malawi. E se serve la terza dose, dovrebbe andare a chi ha problemi immunitari, ovunque sia nel mondo. Questa cosa non sta avvenendo perché stiamo limitando artificialmente la produzione”.
L’Africa ha ancora unità di produzioni limitate, è vero, e pochi Paesi del continente sono in grado di fabbricare un gran numero di vaccini. Ma pensiamo ad altri Paesi molto preparati su questa filiera. L’India, ad esempio, dove il Serum Institute of India sta lavorando con Astrazeneca-Oxford per fornire vaccini al sistema Covax. “Possibile che le sapienti menti del Covax pensino che una sola azienda possa produrre le dosi per i miliardi di persone nei Paesi a basso reddito? Eppure esistono diverse aziende indiane in grado di lanciarsi nella produzione. Se si condividesse la tecnologia e il know-how del vaccino a mNra tante aziende sarebbero pronte a produrlo. Si sono fatte avanti aziende in Indonesia, in Corea del Sud, in Bangladesh in Sudafrica e altrove”, sottolinea la nostra interlocutrice.
Poche settimane fa, la Biontech ha annunciato che parteciperà alla creazione di unità di produzione di vaccini in Rwanda e in Senegal, ma questo, sottolinea la dottoressa Kamal-Yanni, “non è realmente un trasferimento di know-how. L’operazione somiglia più alla creazione di una loro fabbrica, che a un partenariato per una vera condivisione. Promettono che lo faranno, più in là”. L’Organizzazione mondiale della sanità ha creato un hub per il trasferimento di tecnologia sul vaccino a Mnra in Sudafrica, “perché non andare in quel centro? Andare in Rwanda e in Senegal è una bellissima mossa, ma ci vorrà molto tempo e paradossalmente esiste già un hub in Sudafrica”.
Se nella battaglia contro il covid-19 scendono in campo gli scienziati, nella battaglia contro l’ingiustizia, l’avidità e la prepotenza deve scendere in campo il “People’s Power”, la società civile, portatrice di un messaggio universale che forse riuscirà a convincere persino i più scettici: non sarò al sicuro finché tu non sarai al sicuro.
(Céline Camoin)