Crescono del 9% le rimesse dei migranti

di Enrico Casale
rimesse migranti

C’è un indicatore economico globale che da qualche anno non conosce crisi: le rimesse che i lavoratori migranti inviano ai propri familiari nei Paesi di origine. In crescita costante l’andamento di questi flussi di denaro su scala mondiale, che nel 2018 hanno raggiunto un valore complessivo di 689 miliardi di dollari (+9%), di cui 529 destinati a nazioni in via di sviluppo, segnando un +9,6% rispetto all’anno precedente. Secondo le previsioni del Migration and Remittances Team della Banca Mondiale, elaborate dal Centro Studi e Ricerche Idos, il trend positivo proseguirà anche nel 2019, seppur al ribasso rispetto al 2018, con una stima di crescita del 4% circa.

Lo scorso anno i flussi di rimesse sono cresciuti in tutte le sei aree continentali, con un picco del 12,3% in Asia meridionale e dell’11,2% in Europa e Asia centrale. A trainarli, il rafforzamento della situazione economica e occupazionale negli Stati Uniti, un rimbalzo dei flussi verso l’esterno dalla Federazione Russa e da alcuni Paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo.

Nel 2019 rimesse in calo per rallentamento economia, dazi e sentimenti anti-migranti

La situazione è però destinata a cambiare nel 2019 e le previsioni della Banca Mondiale, seppur ancora di segno positivo, indicano un netto rallentamento dei flussi di rimesse, a quota 550 miliardi verso i Paesi in via di sviluppo, segnando un +4% rispetto al 2018, e su scala globale di 714 miliardi in aumento del 3,6% soltanto. Un “raffreddamento” della crescita delle rimesse, più che dimezzata rispetto all’anno precedente, che gli esperti ricollegano direttamente al rallentamento della crescita delle economie più avanzate a causa di esportazioni deboli, in particolare la notevole decelerazione nell’area euro, con una crescita contenuta in Germania e Francia e una ripresa debole dell’Italia.

Per il 2019 il quadro macroeconomico globale tracciato dalla stessa istituzione finanziaria indica, inoltre, la stabilizzazione della crescita dei Paesi a basso e medio reddito, come risultato del deterioramento della domanda esterna, della persistente incertezza politica nei Paesi ad alto reddito; fattori negativi che saranno tuttavia compensati dai recenti miglioramenti delle condizioni finanziarie e dell’aumento dei prezzi delle materie prime che gioverà ai Paesi esportatori, anche se quello del petrolio rischia di calare.

Tra i fattori negativi significativi la Banca Mondiale indica l’introduzione di maggiori restrizioni agli scambi commerciali – dazi Usa in primis – e una serie di rischi geopolitici scaturita dai crescenti sentimenti anti-immigrati in alcuni Paesi ospitanti.

Rimesse portano sviluppo sostenibile nei Paesi più deboli

Nonostante il rallentamento previsto per il 2019, gli esperti esprimono un ottimismo moderato sull’andamento dei flussi di rimesse nel contesto dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, con un andamento globalmente positivo.

In base alle stime, durante l’intero periodo dell’Agenda, in tutto 15 anni, le rimesse inviate dai lavoratori migranti alle famiglie nei Paesi di provenienza a basso e medio reddito raggiungeranno circa 8500 miliardi di dollari. Secondo vari studi, di queste rimesse in media il 25% sarà messo da parte o investito, per un importo globale di 2mila miliardi entro il 2030. Un loro utilizzo efficace genererà un effetto moltiplicatore senza precedenti sullo sviluppo sostenibile.

Il ruolo strategico delle rimesse nello sviluppo economico dei Paesi del Sud del mondo è un fatto assodato, scrupolosamente osservato e monitorato nell’ultimo ventennio da esperti e operatori, e su cui insiste una corposa letteratura, istituzionale e scientifica. Di recente il Global Compact on Migration delle Nazioni Unite, approvato nel dicembre 2018, ha riconosciuto il contributo determinante dei lavoratori migranti e delle loro rimesse quale motore di sviluppo per molti Paesi.

In effetti le rimesse contribuiscono a innalzare gli standard di vita delle famiglie che lo ricevono, in quanto viene impiegato prevalentemente per acquistare beni essenziali, prima di tutto cibo e vestiti, per comprare o migliorare le abitazioni, così come per garantire salute e istruzione ai membri della famiglia.

Quel che resta diviene risparmio e talvolta è destinato a investimenti produttivi o commerciali, che possono anche creare posti di lavoro e trasformare le economie, soprattutto nelle aree rurali, oppure a progetti collettivi, come la realizzazione di strutture comuni per fini scolastici, sanitari o religiosi.

Così le rimesse assumono un valore fondamentale, sia per il singolo migrante che per la comunità di appartenenza. In un mondo sempre più ineguale, le rimesse rappresentano anche una “piccola” ma significativa leva redistributiva che permette di far arrivare nel Sud del mondo un po’ della ricchezza generata al Nord.

Dall’Italia rimesse in crescita; mistero Cina e Bangladesh al primo posto

In Italia, dopo il crollo del 2013 e alcuni anni di stabilizzazione, nel 2018 il volume delle rimesse dei lavoratori immigrati ha raggiunto quota 6,2 miliardi, segnando un improvviso e consistente incremento del 22%, rispetto ai 5 miliardi del 2017. Il picco storico delle rimesse risale al 2011, quando alle famiglie di origine furono inviati 7,4 miliardi.

Nel quadro italiano, gli studi di Idos evidenziano un forte calo negli ultimi anni delle rimesse a destinazione della Cina che hanno influito negativamente sull’andamento globale dei flussi. Oggi, con 22 milioni spediti, -84% rispetto al 2017, la Cina è diventata il 36mo Paese di destinazione nella graduatoria nazionale.

Un crollo che alimenta interrogativi sulle modalità utilizzate dai lavoratori cinesi in Italia per spedire soldi in patria, optando per canali informali, lontani dai Money transfer operator (Mto), dai controlli, dalle commissioni e dal sistema di tracciabilità della Banca d’Italia. Per gli esperti, da una parte le rimesse cinesi sono state dirottate verso bitcoin, carte prepagate, app telefoniche, sistema hawala, e dall’altra i lavoratori cinesi italiani sarebbero più propensi a operare investimenti in Italia e in Europa, piuttosto che inviare tutti i loro soldi nel Paese di origine.

Se la Cina è sempre più indietro nella graduatoria nazionale delle rimesse, altri Paesi hanno invece guadagnato molte posizioni, con l’area asiatica in cima alla classifica. Tra i primi otto ci sono ben cinque Paesi asiatici: con oltre 730 milioni di euro transatti (+37,2%, valore assoluto triplicato negli ultimi sei anni), il Bangladesh ha scalzato dal “podio” la Romania, al secondo posto con 718 milioni, e solo 1,4% in più nel 2018. A seguire, le Filippine con 451 milioni di euro inviati (+38,6%) e il Pakistan con 409 milioni (+75,8%). Al quinto posto troviamo il Senegal con 389 milioni, al sesto l’India con 343 milioni (+16,8%), quindi il Marocco con 331 milioni e all’ottavo posto lo Sri Lanka con 309 milioni (+10,2%). Tre le altre comunità spicca la crescita delle rimesse dei georgiani (+88,5%) e soprattutto dei nigeriani (+227%).

Nel 2018, in particolare, gli incrementi costanti e a mano a mano sempre più sostanziosi degli invii verso alcuni Paesi dell’Asia centromeridionale e dell’Africa sono arrivati a un punto di maturazione: ai migranti provenienti da queste due aree continentali, infatti, sono da imputare i due terzi della crescita nei volumi di rimesse del 2018, oltre 800 milioni di euro. Secondo i dati elaborati da Idos e dalla Fondazione Leone Moressa, i lavoratori domestici in Italia hanno inviato in patria 1,4 miliardi di euro, circa 2000 euro pro capite.

Gli studi precisano, però, che l’aumento dei flussi di rimesse è da imputare a una lieve ripresa economica, che ha avuto un piccolo effetto trainante in alcuni settori produttivi, oltre al fatto che per la prima volta, come segnalato dalla Banca d’Italia, nel computo complessivo delle somme inviate all’estero sono stati inseriti nuovi intermediari che prima sfuggivano ai calcoli.

La geografia italiana delle rimesse

La geografia italiana delle rimesse ha confermato che il 54,5% vengono effettuate dal Nord Italia e il 26,9% dal Centro Italia, in calo in quest’ultima come conseguenza dell’arretramento di quelle cinesi.

Arretrano di mezzo punto percentuale le Isole (4,8%), mentre il Sud mantiene le posizioni dello scorso anno (13,6%). A livello locale, le regioni con il maggior volume di rimesse inviate si confermano la Lombardia, con 1 miliardo e 460 milioni di euro (pari al 23,5%), ossia circa un quarto delle rimesse complessivamente inviate, e il Lazio, con 953 milioni (il 15,4%). Campania, Liguria e Marche sono invece le regioni “più virtuose”, ossia con gli incrementi più robusti (circa il 30%).

Dalla provincia di Roma, prima in graduatoria, parte il 13,3% delle rimesse complessive e da quella di Milano il 12,0%; seguono le province di Napoli (4,5%) e di Torino (3,0%) tutte con valori di crescita sopra la media nazionale.

Reddito migranti è ricchezza per Paesi accoglienza, nodo tassazione rimesse

Nel 2018, i 529 miliardi di dollari di rimesse inviati a livello globale verso i Paesi a medio e basso reddito rappresentano solo il 15% del reddito prodotto dai migranti. Ciò significa che l’altro 85% rimane nei Paesi in cui vivono e lavorano, dove acquistano beni e servizi, pagano imposte e tributi.

Nel contempo le rimesse sono cruciali in termini di tassazione da applicare nei Paesi di accoglienza dei migranti. Proprio per il loro ruolo centrale anche nei Paesi di origine, negli ultimi decenni sono stati stipulati numerosi accordi internazionali per favorire una riduzione del costo delle transazioni finanziarie verso l’estero effettuate da persone fisiche, al fine di liberare risorse e aumentare l’impatto di questo denaro nei paesi destinatari.

Durante il G8 del 2009 all’Aquila fu stabilito l’obiettivo di portare tale costo al 5%; lo stesso obiettivo fu ribadito ai G20 di Cannes (2011) e Brisbane (2014). Inoltre, all’interno degli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite è sancito l’impegno di ridurre i costi d’invio al 3% entro il 2030. Siamo ancora molto lontani da questo obiettivo, ma un po’ più vicini a quello fissato nel 2009, almeno in alcune aree continentali: a fine 2018 il costo medio delle rimesse in partenza dai Paesi del G8 (calcolato su un invio di 200 dollari) era del 6,7%, percentuale che sale al 7,2% se consideriamo la media nei Paesi del G20, con punte che – in alcuni Paesi – arrivano a toccare anche il 9,4%.

In Italia la tassazione delle rimesse è spesso trattata come una questione politica, in particolare a partire dal 2012, con una serie di provvedimenti infruttuosi e di difficile applicazione nonché in contraddizione con gli impegni presi nei consessi internazionali. Nel 2012 il governo Monti abrogò la norma introdotta l’anno prima dal governo Berlusconi, chiamata “tassa sui migranti irregolari”, che prevedeva la tassazione con un’imposta di bollo del 2% per i trasferimenti di denaro all’estero effettuati dai soli cittadini non Ue non in possesso di matricola Inps e codice fiscale.

La questione è riemersa nell’autunno 2018 con il governo Conte, desideroso di reintrodurre la tassazione delle rimesse verso l’estero da parte degli immigrati residenti, spinto dall’esigenza di “fare cassa” oltre che da motivazioni di propaganda politica anti-migranti. Una decisione – contenuta nell’art. 25-novies del decreto-legge 23 ottobre 2018 – che ha fatto dell’Italia tra i pochissimi Paesi al mondo e il primo in Europa a volere nuovamente tassare le rimesse, quelle effettuate presso i soli Mto, applicando un’imposta dell’1,5% del valore di ogni singola transazione.

Tuttavia il provvedimento che sarebbe dovuto entrare in vigore lo scorso gennaio, con un introito stimato di 63 milioni di euro nelle casse dello Stato, è rimasto in stand-by per problematiche tecnico-applicative e una serie di problemi di compatibilità con i principi di matrice comunitaria e nazionale che riguardano l’ordinamento giuridico italiano.

(Agi – Veronique Viriglio)

Condividi

Altre letture correlate: