di Gianfranco Belgrano
Un terzo dei Paesi africani si è astenuto ieri nel voto con cui l’Assemblea generale dell’Onu ha condannato l’invasione russa dell’Ucraina. In 17 hanno presentato scheda bianca, mentre l’Eritrea ha votato contro (insieme a Russia, Corea del Nord, Bielorussia e Siria), spiegando in una nota la sua decisione. Un dato significativo a fronte dei 141 Stati che hanno invece votato a favore di una risoluzione simbolica ma che ha un forte valore politico.
Può valere la pena elencare i Paesi che hanno deciso di astenersi perché danno anche il quadro dei frutti del lavoro diplomatico che in questi anni la Russia ha intessuto nel continente africano: Algeria, Angola, Burundi, Centrafrica, Repubblica del Congo, Guinea Equatoriale, Mali, Madagascar, Namibia, Mozambico, Senegal, Sudafrica, Sudan, Sud Sudan, Zimbabwe, Uganda, Tanzania. Ma accanto a chi si è astenuto c’è poi anche da considerare chi non ha partecipato al voto per varie ragioni. In questo caso i Paesi sono 12 di cui 8 africani ovvero Burkina Faso, Camerun, Eswatini, Etiopia, Guinea, Guinea Bissau, Marocco e Togo.
Sommando i 17 astenuti, il voto contrario dell’Eritrea e gli otto assenti si arriva a 26, poco meno della metà delle 54 nazioni che compongono il continente.
Quello che emerge dal voto, quindi, sembra essere un continente spaccato a metà che lascia immaginare l’esistenza di una linea di faglia di un nuovo ed eventuale assetto globale determinato dall’azione militare russa. C’è di fatto un’Africa che guarda a oriente e che lo fa non soltanto per la Russia. Al voto di ieri si sono astenute anche Cina (come previsto) e India, ma anche il Vietnam, l’Iran, l’Iraq, il Pakistan. India e Cina sono Nazioni “continente” che come la Russia hanno provato a giocare un ruolo sempre più attivo in Africa, innanzitutto sul piano economico. E se la Russia ha spinto l’acceleratore sul tema della sicurezza andando a incidere su vecchi equilibri, in particolare ai danni della Francia (si veda in Mali o in Centrafrica), e sul tema dell’energia, muovendosi in particolare sul gas e sul nucleare, la Cina è sua volta un attore ormai imprescindibile. Lo è nello sviluppo infrastrutturale dell’Africa, dove ha saputo dare risposte immediate a esigenze impellenti, e lo è nel complesso ambito delle materie prime strategiche. Certo, l’Unione Europea presa nel suo insieme conta ancora più della Cina nell’interscambio, ma la sua è una posizione di difesa, di progressivo arretramento rispetto a un attore dinamico che risulta per certi versi più attraente (come la Russia) perché propone un modello politico completamente opposto. Diversi osservatori stanno legando il passaggio di diversi Paesi a forme di governo autocratiche (con golpe o con altre formule) all’influenza esercitata da modelli politici diversi da quelli occidentali.
Tornando al resoconto del voto di ieri all’Onu, risulta quindi di un certo rilievo notare che la lista comprende Paesi come il Sudafrica, l’Algeria, l’Angola o lo stesso Senegal che detiene la presidenza di turno dell’Unione Africana. E’ allo stesso tempo interessante passare in rassegna i Paesi che hanno deciso di disertare il voto salvo poi emettere comunicati che invitano al dialogo come quello del Marocco.
Perché queste posizioni (che vanno dalla cautela al mettere le “mani avanti” rispetto a un conflitto in grado di smuovere nel profondo le opinioni pubbliche occidentali) su una situazione capace di avere ripercussioni economiche importanti e che secondo diversi analisti potrebbe portare a un cambio profondo degli equilibri geopolitici globali?
La stampa africana sta dando un po’ di copertura al conflitto, ma senza esagerare. In Sudafrica ci sono state aperte critiche al voto di astensione che molti rimandano ai legami con la Russia nel Brics, l’associazione che riunisce Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica. In Senegal, i media generalisti hanno dato conto della scelta neutrale di Dakar senza scendere in particolari. In Etiopia – Paese che ha disertato il voto e che sta vivendo esso stesso un conflitto interno – il primo ministro Abiy Ahmed ha rilasciato proprio oggi una lunga dichiarazione nella quale auspica che i grandi consessi internazionali non si trasformino in “luoghi di isolamento quando sono stati invece collettivamente costruiti per essere meccanismi di problem solving”. Più spazio – e con tanto di dichiarazioni presidenziali come in Nigeria – è stato dato a maltrattamenti e discriminazioni subiti dai migranti africani in fuga dall’Ucraina.
Andando oltre questa prima lettura, quello che appare evidente è uno scostamento dell’Africa, o di una buona metà di essa, dal solco seguito invece dall’Europa. Uno scostamento che dovrebbe far riflettere sull’azione che l’Europa ha continuato a condurre in questi ultimi dieci anni, puntando riflettori e risorse su temi – sicurezza, stabilità politica, flussi migratori – che probabilmente non hanno tenuto conto delle esigenze più profonde di un continente che sta crescendo demograficamente, che ha necessità di farlo anche sul piano economico e sente di essere trattato ancora non come un partner alla pari.
L’astensione e l’assenza, d’altronde, lasciano spazio anche ad una lettura di colore completamente opposto. L’Africa ha resistito a lusinghe e possibili pressioni per un voto contrario alla risoluzione. Quello che è certo è che a colpo d’occhio, se si guarda alla cartina del voto di ieri, a non votare a favore della risoluzione oltre al continente asiatico c’è anche metà dell’Africa.