Chi sono i responsabili di queste azioni terroristiche?
Io credo – risponde Massimo Campanini, professore di Storia dei Paesi islamici presso l’Università di Trento – che sia impossibile trovare una spiegazione unica. In questi gruppuscoli (che a volte sono singole persone, cani sciolti), ci sono elementi che vengono da quartieri poveri delle grandi città in cui domina la povertà, l’alienazione rispetto alla cultura dominante, dove non c’è senso di appartenenza alla cultura occidentale. Ci sono però anche persone che si illudono che ci sia una sorta di palingenesi del mondo e questa possa essere raggiunta attraverso la violenza. Infine ci sono anche personaggi che creano reti di destabilizzazione che pescano in diversi strati sociali e arruolano persone che hanno ideologie differenti. Si tratta quindi di un brodo di coltura molto diversificato.
Ma esiste un elemento unificante in questo movimento così violento?
Se proprio vogliamo trovare un elemento unificante lo possiamo trovare nella mancata saldatura tra i modelli, un po’ logori, del mondo occidentale e quelli del mondo arabo e islamico (che negli ultimi due secoli ha subito violenze molto forti sia da parte dell’occidente sia da parte delle élite locali). La spiegazione profonda di un fenomeno di questo genere è il fatto che culture così vicine geograficamente non siano riuscite a convivere. Le giovani generazioni, che si sentono socialmente emarginate e sono prive di punti di riferimento ideali, possono quindi essere facilmente preda di queste sensazioni di rivalsa, vendetta, palingenesi che però purtroppo si traducono in manifestazioni di terrore, violenza e sangue che sono preoccupanti.
Quale tipo di Islam propugnano?
La novità dirompente di Daesh è stata quella di proporre il rinnovamento del califfato (cosa che al Qaeda non aveva fatto). Questo è importante perché il califfato è il simbolo della grandezza dell’Islam (che poi sia un mito costruito a posteriori questo non ha grande rilevanza). Il califfato è l’idea di un Islam potente e vincente e ha un’attrattiva, anche se teorica. E ciò perché, se si guarda ai fondamenti giuridici, al pensiero politico islamico e ai vincoli legati alla tradizione del Profeta, questa idea utopica viene tradita nei suoi fondamenti e viene distorta per giustificare una violenza che non ha fini religiosi. Il califfato è per sua natura intrinseca il simbolo di unità. Invece, la proposta di Daesh è di divisione e di frantumazione interna. Quando i miliziani parlano di falsi musulmani e di infedeli che vanno combattuti fino alla morte c’è un tradimento concettuale rispetto al fondamento reale di unità del califfato. C’è un’idea di settarismo che, nell’immaginario islamico, è una iattura profonda.
Quali ricadute hanno questi messaggi sulla popolazione islamica?
Dire che Daesh e al Qaeda siano elementi marginali potrebbe sembrare un errore. Di fatto però lo sono. Dai riscontri che ho dai Paesi islamci, la grande massa della popolazione è spaventata dal terrorismo. La popolazione si sente colpita e messa a rischio. E infatti non è il terrorismo in sé che può avere una reale presa sulla gente. Ciò che ha presa è l’idea di rivalsa che da decenni emerge dai Paesi islamici perché si sentono minacciati e strumentalizzati. Questa percezione, che non è del tutto giusta né del tutto sbagliata, è un qualcosa che crea un sottofondo che può essere sensibile a un certo tipo di predicazione. Questa violenza terroristica si sta diffondendo anche perché ci sono motivazioni storiche alle spalle. Buona parte di queste motivazioni sta negli errori dell’Occidente e delle sue politiche neocoloniali che hanno cercato di sfruttare o di alienare le popolazioni arabe e islamiche. Noi parliamo spesso di democrazia, ma siamo veramente democratici? Realizziamo veramente i valori democratici che predichiamo? Noi predichiamo bene, ma spesso razzoliamo male. E le popolazioni arabe e islamiche se ne rendono conto.