Per tutto il mese di maggio Dakar torna a essere la capitale dell’arte contemporanea africana. Riapre i battenti la biennale Dak’Art, affidata anche in questa 13° edizione a Simon Njami, che l’ha titolata ispirandosi di nuovo a un padre della negritudine. L’heure rouge, ossia l’ora rossa, l’età della ragione, dell’emancipazione, della responsabilità e della libertà, è un’espressione presa in prestito da Aimé Césaire. Corrisponde, spiega Njami, a ciò che il fotografo Henri Cartier-Bresson chiamava l’istante decisivo: quel crocevia tra passato e futuro che chiamiamo presente e che, come ammonisce il filosofo Maurice Merleau-Ponty, dovremmo imparare a sfruttare nella sua interezza.
Come curatori ospiti, Njami ha coinvolto anche in questa edizione dei grandi professionisti. Spicca Elvira Dyangani Ose, che ha lavorato spesso anche in Italia, in particolare per la Fondazione Prada. Per la mostra internazionale, “A New Humanity”, sono stati selezionati 75 artisti provenienti da trentatré Paesi del mondo. Ospiti d’onore, la Tunisia e il Ruanda, ma ci sarà un focus particolare, com’è ovvio, sulla scena senegalese contemporanea. E due giorni dopo l’apertura della Biennale, il 5 maggio, Dakar vivrà un altro momento importante: l’inaugurazione della Maison Ousmane Sow. La casa del grande scultore scomparso a fine 2016 sarà aperta al pubblico e ospiterà stabilmente una collezione di sue opere.
(Stefania Ragusa)