A Dakar sta per scattare l’ora rossa. Il 3 maggio inizia la tredicesima edizione di Dak’Art, la Biennale d’Arte Contemporanea più antica e rilevante per il continente. Simon Njami, commissario già nel 2016 e posto solo pochi giorni fa dal magazine Jeune Afrique (www.jeuneafrique.com) tra le 50 personalità africane più influenti, ha voluto titolarla ispirandosi ad Aimé Césaire, uno dei padri della négritude. L’espressione heure rouge compare infatti nella piéce Et les chiens se taisaient, che il poeta originario della Martinica (isola compresa nel dipartimento francese d’oltremare) aveva pubblicato nel 1956. «Corrisponde a ciò che il fotografo Henri Cartier-Bresson definiva l’istante decisivo», spiega Njami. «Quel crocevia tra passato e futuro che chiamiamo presente e che, come ammonisce anche il filosofo Maurice Merleau-Ponty, dovremmo imparare a sfruttare nella sua interezza».
L’ora rossa è insomma quella della consapevolezza e della presenza, che arriva dopo lunghe peregrinazioni del corpo e dell’anima. E’ il momento dell’appropriazione soggettiva, della ri-scoperta di sé e del proprio valore prospettico. Introdurla in un contesto creativo come Dak’Art corrisponde a una precisa scelta di campo: non si tratta solo di mostrare al mondo il meglio dell’arte contemporanea da certi territori, sperando che il mondo voglia guardare, ma di riposizionare questo appuntamento nello scacchiere artistico, farlo entrare nelle agende internazionali partendo dalla sua rilevanza intrinseca.
Anche in questa edizione Njami ha voluto coinvolgere, in qualità di curatori ospiti, esponenti di spicco del panorama artistico mondiale: la giornalista messicana Marisol Rodriguez,; la storica dell’arte marocchina Alya Sebti; i curatori Bonaventure Soh Bejeng Ndikung, Marianne Hultman, e Cosmin Costinas, rispettivamente camerunese, svedese e rumeno. Ciascuno di loro realizzerà un’esposizione collettiva. Personalmente siamo molto incuriositi da quella che ruota intorno all’opera di Halim El-Dabh,intellettuale panafricanista e pioniere del sound africano elettronico, scomparso un anno fa. Per realizzarla Bejeng Ndikung ha chiamato alcuni dei nomi più interessanti dell’avanguardia sonora africana contemporanea, a partire dal lagosiano Emeka Ogboh, che nel progetto Lagos Saoundscapes ha raccolto suoni e rumori della metropoli nigeriana.
Alla mostra internazionale, A New Humanity, partecipano 75 artisti di 33 diversi paesi. Sudafrica e Marocco, con 9 presenze ciascuno, sono i più rappresentati. Relativamente pochi i nomi “noti” : il fotografo sudafricano Andrew Tshabangu e l’artista beninese Meschac Gaba, l’ivoriano Ouattara Watts, amico e collaboratore di Basquiat, e l’egiziano Ghada Amer (in coppia per l’occasione con l’iraniano Reza Farkhondeh). Tra gli “ignoti” ci sono però moltissimi talenti, che non mancheranno di distinguersi. Molto interessante, per esempio, il gruppo di artisti provenienti dallo Zimbabwe, il più conosciuto dei quali è il fotografo attivista Kudzanai Chiurai. Ospiti d’onore Tunisia e Rwanda. Per la prima volta il Senegal avrà un padiglione nazionale, curato da Viyé Diba, artista plastico originario della Casamance e ormai stabilmente presente a Dakar. Ma la partecipazione locale sarà anche in quest’occasione giocata sulla contrapposizione tra spazi istituzionali e il cosiddetto circuito off, che si estende ormai anche ai sobborghi della capitale.
L’ora rossa, insomma, arriva carica di suggestioni e proposte, pronta a diffondere la propria eco su scala transcontinentale.
Dak’Art (edizione 13): dal 3 maggio al 2 giugno 2018.
Sito web: biennaledakar.org
(Stefania Ragusa)