Lunedì scorso il presidente Macky Sall ha annunciato a sorpresa una serie di misure di “allentamento” dell’emergenza, tra cui la riapertura dei luoghi di culto, confidando nella capacità dei senegalesi di rispettare il distanziamento sociale e le altre regole imposte e/o interiorizzate in queste settimane. La Chiesa Cattolica, attraverso il vescovo, ha fatto sapere subito che non avrebbe modificato le misure di sicurezza e che il pellegrinaggio a Popenguine, previsto in teoria per il 30 maggio, non ci sarebbe comunque stato.
La stessa decisione è stata presa anche dalla maggior parte dei responsabili delle moschee di Dakar, a partire dalla Grande Moschea (nella foto) inaugurata meno di un anno fa. In un comunicato inviato alla stampa, l’Imam ha annunciato infatti la non riapertura, affermando che a suo avviso non sussistono le condizioni per una ripresa della preghiera collettiva in sicurezza.
Il califfo generale dei Tidiane (seconda confraternita per importanza in Senegal), Serigne Babacar Sy Mansour, ha deciso di mantenere chiuse moschee e daara (le comunità religiose) dal momento che «la causa di tutte le restrizioni precedenti è ancora presente e sta guadagnando terreno».
Fa eccezione Touba, la città santa dei mourid. Qui le moschee saranno aperte, ma Sidy Mountakha Mbacké, il capo della confraternita, si è impegnato a vigilare personalmente affinché tutte le misure di sicurezza (mascherine, distanziamento, lavaggi) siano rispettate..
I capi religiosi non vogliono essere considerati responsabili di un’eventuale ecatombe. Di fronte a questo sviluppo inatteso, la mossa di Macky Sall appare meno azzardata del previsto.
Senegal | Luoghi di culto (quasi) tutti chiusi
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