di Annamaria Gallone
Oggi vi presentiamo un film presentato al recente Festival di Cannes, Mambar Pierrete, della regista camerunese Rosine Mbakam. Un ritratto di “madre coraggio” estremamente originale nella sua solo apparente semplicità.
Il cinema ci ha regalato molti ritratti di “madri coraggio” che lottano con pervicacia contro le difficoltà quotidiane, ma quello presentato alla Quinzaine des Réalisateurs del recente Festival di Cannes è un ritratto estremamente originale nella sua solo apparente semplicità.
Il film si intitola Mambar Pierrete e la regista Rosine Mbakam, è originaria del Camerun, ora residente in Belgio. Nei suoi precedenti documentari ha già dipinto ritratti di donne come Chez Jolie Coiffure e Delphine’s Prayers, mentre questa volta entra nel campo della fiction, pur rimanendo fedele alla verità sul campo. La protagonista è sua cugina, che in gran parte interpreta sé stessa nella vita reale. Le due giovani donne hanno lavorato insieme anche per scrivere la sceneggiatura.
Pierrette, fa la sarta. La sua giornata inizia presto, deve aiutare la madre, preparare i figli che stanno per cominciare il nuovo anno scolastico e combattere con l’acqua: un acquazzone ha allagato la casa, come spesso accade e lo stesso problema troverà anche in laboratorio. Il lavoro è per lei importantissimo, non rappresenta solo il suo sostentamento e un fattore di emancipazione, è anche una vera passione. Per questo è instancabile, non si arrende, a testa bassa affronta di volta in volta i problemi che si susseguono. Il suo laboratorio è anche un microcosmo, crocevia per la comunità: i passanti si fermano, comprano qualcosa o semplicemente parlano dei loro fatti personali, dei loro problemi, della tante difficoltà economiche. Scampoli di quotidianità che animano il laboratorio e la vita di Pierrette. “Sembri portare sulla tua testa tutte le disgrazie del Camerun”, le dice un cliente.
Tutto è visto attraverso il prisma della protagonista che ci fa immedesimare in ogni momento della sua vita, un’opera prima molto personale, intrisa dell’amarezza della realtà.
A proposito della sua scelta, la regista dice: “Quando ho iniziato a voler fare film, avevo in mente la fiction. Ho scoperto il documentario creativo alla scuola di cinema. Il documentario è stato uno strumento che mi ha permesso di affrontare la mia timidezza nei confronti della regia, perché mi ha permesso di essere indipendente e di fare le cose da sola. Il documentario mi ha anche permesso di cercare il mio cinema, di capire come volevo fare i film di finzione. Con Mambar Pierrette, volevo tornare a questo primo desiderio di fiction. È stata la mia famiglia a dare il via ai miei primi desideri di fiction. Con Pierrette, mia cugina, parlavamo spesso su WhatsApp, chiacchierando della nostra vita quotidiana. Volevo mettere in discussione alcuni degli argomenti urgenti di cui parlavo con lei, domande sul lavoro, la disoccupazione, i figli, l’istruzione. Mi sono basata sui nostri scambi per scrivere questa storia, basandomi sulla sua realtà, sulla sua esperienza vissuta”.
Ed è estremamente sincera quando le si chiede perché ha voluto produrre i film lei stessa con la sua società: “Vedevo benissimo che qui in Europa i produttori avevano un’idea molto specifica di come avrei dovuto filmare la mia realtà, spesso senza ascoltare quello che avevo da dire. Ero alla ricerca del mio cinema e non potevo pensare di lottare per educare le persone a ciò che volevo fare. Dovevo già lottare per far accettare i film alle commissioni, non volevo dover lottare anche con i produttori. Il regista etiope Haile Gerima dice: “Devi creare il tuo spazio di libertà, perché quando l’industria ti ignorerà e non ti riconoscerà più, avrai ancora questo spazio per continuare a esprimerti”. Tândor Productions è il mio spazio di libertà, che mi ha permesso di realizzare i miei primi film con niente. Questo mi permette di mantenere la mia visione, i miei pensieri, ma anche la singolarità delle persone che filmo. Non voglio lasciarmi confinare dall’industria, un modo di produzione che inquadra, limita, racchiude le cose”.