Decine di Paesi nel mirino del nuovo “Travel ban” di Trump, ventidue sono africani

di claudia

di Andrea Spinelli Barrile

L’amministrazione Trump sta elaborando un elenco di Paesi i cui cittadini potrebbero essere soggetti a un divieto totale di ingresso negli Stati Uniti o a restrizioni significative, qualora la Casa Bianca dovesse approvare il provvedimento. 22 Paesi su 43 sono africani.

C’è un nuovo elenco di Paesi che l’amministrazione Trump considera dei paria, un elenco che deve ancora essere approvato dalla Casa Bianca ma che già ha mandato in fibrillazione cittadini e governi di 43 paesi del mondo. È il nuovo “Travel ban” che, rivela il New York Times nel fine settimana, l’amministrazione Trump starebbe preparando, inasprendo le regole di ingresso negli Stati Uniti con divieti e restrizioni sui visti che potrebbero colpire i cittadini di 43 Paesi, tra cui 22 africani.

Le autorità hanno chiarito che gli elenchi sono ancora in fase di revisione e potrebbero essere modificati prima di essere definitivamente approvati dalla Casa Bianca, inoltre non è ancora chiaro se i titolari di visto o di green card saranno esentati da queste restrizioni.

Secondo il quotidiano di New York, l’elenco è stato suddiviso in tre categorie: rosso, arancione e giallo, colori che riflettono i diversi livelli di restrizioni. Nella lista figurano ventidue Paesi africani, alcuni dei quali si trovano ad affrontare il divieto assoluto di ingresso negli Stati Uniti, mentre altri sono soggetti a restrizioni sui visti. Non è una novità: già durante la precedente amministrazione Trump diversi passaporti africani avevano subito restrizioni nel provvedimento ricordato come “travel ban”. Quei divieti di viaggio, imposti a sette Paesi a maggioranza musulmana durante il primo mandato di Donald Trump, scatenarono polemiche e battaglie legali prima di essere confermati dalla Corte suprema americana.

Inseriti nella lista rossa ci sono i cittadini di Libia, Somalia e Sudan, che non potranno più entrare negli Stati Uniti. Nella lista arancione ci sono i cittadini di Eritrea, Sierra Leone e Sud Sudan, che si troverebbero ad affrontare notevoli restrizioni, tra cui l’obbligo di un colloquio personalizzato per ottenere il visto. Infine, 16 Paesi africani figurano nella lista gialla: questi Paesi hanno 60 giorni di tempo per “migliorare le loro procedure di sicurezza e di controllo dei viaggiatori” o, in caso contrario, i loro cittadini potrebbero essere spostati nelle liste rossa o arancione. Si tratta dei cittadini di Angola, Benin, Burkina Faso, Camerun, Capo Verde, Ciad, Repubblica del Congo e Repubblica Democratica del Congo, Guinea Equatoriale, Gambia, Liberia, Malawi, Mali, Mauritania, São Tomé e Príncipe e Zimbabwe. Se queste restrizioni fossero confermate, potrebbero esserci ripercussioni sugli studenti, sulle aziende, sui turisti e persino sulle famiglie della diaspora africana che vivono negli Stati Uniti, ma il danno sarebbe anche diplomatico, poiché diversi Stati potrebbero considerare la decisione come una sanzione ingiusta, reagendo a loro volta.

Come spiegano i media americani, la lista segue un ordine esecutivo emesso il 20 gennaio da Trump che richiede controlli di sicurezza più intensi per tutti gli stranieri che cercano di entrare negli Stati Uniti, così da rilevare eventuali minacce alla sicurezza nazionale. In quell’occasione, il presidente americano aveva anche ordinato a diversi membri del gabinetto di presentare un elenco di paesi per la sospensione parziale o totale.

Le reazioni non si sono fatte attendere, anche se per il momento si tratta ancora di un’ipotesi. Tuttavia, sorprende un po’ il fatto che tendenzialmente i governi africani non si siano voluti pronunciare ufficialmente su questa ipotesi di provvedimento: il ministro degli Esteri della Sierra Leone, Timothy Kabba, ha chiesto un incontro con l’ambasciatore statunitense nel Paese, Bryan Hunt, al quale chiederà lumi proprio su queste nuove ipotetiche restrizioni sui visti per i cittadini sierraleonesi. Stessa iniziativa messa in atto dal ministero degli Esteri di Capo Verde (Mne): due giorni fa il ministero ha rilasciato una dichiarazione ufficiale in cui ha detto che il governo capoverdiano “avvierà misure con le entità competenti negli Stati Uniti d’America, per ottenere chiarimenti dettagliati sulle preoccupazioni che hanno portato all’inclusione del paese” nell’elenco dei Paesi che subiranno restrizioni: “Secondo i media, Capo Verde è incluso in questa lista al livello giallo, il che significa che ci sono preoccupazioni che possono essere risolte nel dialogo con le autorità americane, entro un periodo di sessanta giorni”.

Salta all’occhio, visto il vortice di polemiche in corso tra gli Stati Uniti e il Sudafrica, l’assenza proprio del Sudafrica nell’elenco diffuso dal New York Times, elenco che comunque è ancora una bozza e quindi non totalmente esaustivo: nei giorni scorsi Washington ha infatti ritirato l’accreditamento all’ambasciatore sudafricano, che dovrà quindi lasciare il Paese, e in generale è in corso una vera e propria battaglia mediatica tra Usa e Sudafrica relativamente alla nuova politica fondiaria che il governo di Pretoria si appresta ad approvare e che secondo Washington è razzista nei confronti della parte bianca della popolazione sudafricana.

A gennaio 2017 l’amministrazione Trump aveva tentato di bloccare completamente l’accesso negli Stati Uniti ai cittadini di Yemen, Siria, Iran, Libia e Somalia, imponendo anche restrizioni ai cittadini di Venezuela e Corea del Nord. Quel provvedimento fu bloccato e poi, a giugno 2018, confermato dalla Corte suprema e due anni dopo il divieto fu esteso anche ai cittadini di Eritrea, Kirghizistan, Myanmar, Nigeria, Sudan e Tanzania: gli Stati Uniti sospesero il rilascio di visti per immigrati e non, compresi quelli per turismo e per affari a breve termine, ammettendo qualche eccezione per gli studenti e per coloro che avevano stabilito “contatti significativi” negli Stati Uniti.

Il blocco dei visti non-immigrazione non ha interessato i cittadini di Eritrea, Kirghizistan, Myanmar e Nigeria mentre alla maggior parte dei nordcoreani è stato impedito di entrare negli Stati Uniti durante quel periodo. Il divieto imposto ai cittadini venezuelani riguardava principalmente i funzionari governativi.

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