«Una modalità di approccio a qualsiasi testo proveniente da qualsiasi tempo e luogo che consente ai suoi contenuti e temi di intrattenere un dialogo libero con altri testi appartenenti al tempo e allo spazio di chi legge, allo scopo di trarne il massimo contributo all’umano». Questa è la Globalettica che dà il titolo all’ultimo saggio di Ngũgĩ wa Thiong’o uscito in italiano (Jaca Book, 2019, pp. 139, € 18,90), a ruota del suo ultimo romanzo Il Mago dei corvi (La nave di Teseo, pp. 910, € 24,00).
L’autore vi approfondisce un suo tema prediletto: come la letteratura sia specchio e al contempo motore della politica coloniale (e neocoloniale) nonché imperialistica tout court. Lo fa anche ricorrendo a ricordi personali, come quando, giovane professore dell’Università di Nairobi, propose l’abolizione del dipartimento di Inglese – quello, peraltro, in cui insegnava. Contestava l’indiscussa e “ovvia” gerarchia delle lingue e delle letterature, che vedeva quella inglese prevalere tranquillamente su quelle africane e di Asia e America Latina (idem dicasi per il predominio della scrittura sull’oralità. Gustosi ed emblematici, in proposito, gli esempi che vedono protagonisti Karen Blixen e Claude Lévi-Strauss).
L’alternativa, però, non sta nel sostituire una lingua occidentale con un’altra “periferica”, per esempio africana. Ngũgĩ si batte per una “dialettica globale” (“dialettica” in esplicito riferimento a Hegel e a Marx) in cui negli studi siano potenzialmente compresenti tutte le letterature, ovviamente ricercando un equilibrio tra la letteratura nazionale e le letterature altre.
(Pier Maria Mazzola)