Quella del titolo non è solo un’indovinata formula per catturare il lettore sull’argomento “Sette, fondamentalismi religiosi, pratiche sacrificali, genocidi” (sottotitolo), tema che oggi ci preoccupa sempre di più. È un’espressione tecnica, anche clinica: già consacrata dalle scienze umane e mediche ma ancora terreno semivergine di esplorazione. «Con il termine “deliri culturali”, ovvero credenze indimostrabili, non convalidabili, immodificabili nonostante la scarsissima adesione alla realtà – è questa la definizione data dai due psichiatri contributori di questo volume (uno dei quali, Goffredo Bartocci, può vantare anche ricerche sul campo in Sudafrica) –, designiamo strutture culturali favorenti la radicalizzazione di forme estreme di detachment a cui possono conseguire i deliri propriamente detti descritti dalla clinica psichiatrica».
In altre parole, il libro indaga in modo multidisciplinare (oltre che medico, anche giuridico, antropologico e sociologico), le cause della violenza nel nostro tempo, in particolare quella di ostentata matrice islamica (e non solo. Vedasi il caso della «violenza genocidaria oltre la dimensione culturale» ai danni dei Guarani Kaiowá del Brasile, proposto da Maria Stefania Cataleta, prima avvocata italiana alla Corte penale internazionale e al Tribunale penale internazionale per il Ruanda). È rimasta nella memoria di molti l’analisi di Olivier Roy all’indomani degli attentati parigini del novembre 2015, per il quale non c’è in questione «una radicalizzazione dell’islam, ma un’islamizzazione del radicalismo». Però i deliri culturali che portano a simili gesti distruttivi vanno indagati ancor più in profondità, secondo gli autori del libro. Perché un giovane o giovanissimo arrivi all’immolazione (altrui e anche propria), occorre che si diano appuntamento cause diverse distribuite su tre piani: un livello «micro (caratteristiche psicologiche, storie personali e dinamiche quotidiane), un livello meso (tipo di network familiare e sociale, caratteristiche delle comunità di vita e circostanze favorevoli) e un livello macro (ideologie ed elementi simbolico-culturali, situazione geopolitica internazionale)».
Un ulteriore supplemento d’interesse, per il lettore di Africa, è il saggio antropologico di Elisa Pelizzari, che si addentra nelle dinamiche tuttora vivaci tra cultura ancestrale e islam di antica data (specialmente nel Mali), e mette in luce il senso (o i sensi) della dimensione profonda del sacrificio in Africa occidentale, che s’intreccia con l’annosa e dolente questione dei talibés, gli alunni di scuole coraniche in mano a marabutti spesso ignoranti e comunque potenti. Costoro, attraverso la “educazione” che impartiscono (e a volte anche tramite espliciti accordi con gruppi qaedisti) forniscono “carne da cannone” psico-culturalmente pronta a qualsiasi gesto. Dai ragazzini ceduti al Mujao salafita del Mali a quelli inquadrati in Boko Haram.
L’Harmattan Italia, 2016, pp. 142, € 24,00
(Pier Maria Mazzola)