Origine e significato delle deformazioni labiali delle donne mursi dell’Etiopia meridionale. Segni distintivi, indossati con fierezza dalle donne che fanno a gara per ostentare il modello più elegante, i piattelli labiali sono un enigmatico rompicapo per gli studiosi occidentali e un’attrazione irresistibile per i turisti. Ma dovremmo smetterla di dar corda alla morbosa ossessione per la selvaggeria perduta
di Alberto Salza
«In principio non c’erano uomini, solo donne». Così sostiene il mito d’origine dei Mursi. Apparentati al gruppo dei Surma, sono una piccola popolazione di agropastori dell’Etiopia meridionale, dislocata nelle terre tra i fiumi Omo e Mago. Per spiegare come siano venuti al mondo i circa dodicimila componenti della comunità, i Mursi narrano che una donna raccolse un corpo che galleggiava sul fiume dentro un’arnia di corteccia, e lo nascose nella capanna. Era un ragazzo: appena maturò, la mise incinta. La gravidanza fu subito evidente e le altre donne vollero sapere come una tal cosa le crescesse nel ventre. «Ho cotto e mangiato la terra di un termitaio e inserito nella vagina una gususi (la mordace formica legionaria Aenictus hamifer, NdR)», disse la puerpera.
Un suono sensuale
A quanto pare, le altre donne sperimentarono la procedura, ma senza successo. Come risolsero la faccenda non ci riguarda: interessante è l’uso, da parte delle donne mursi, di terra e dolore nell’antropopoiesi, la fabbrica della persona fisica e culturale. Non a caso, il loro più noto elemento distintivo è il piattello labiale (dhebi), un disco in terracotta (più raramente legno) inserito nel labbro inferiore. Ingombro e peso sono tali che, per mangiare e bere, occorre sfilarlo. Eppure camminano fiere, a testa alta, consce della propria bellezza. «Il mento deve oscillare avanti e indietro – dice un’anziana – in modo sottilmente sensuale, per far sentire lo zes zes». È il tipico suono di labbro e piattello.
Per le ragazze puberi, il processo che porta al piattello labiale parte dalla madre o da un’altra donna del villaggio; costei incide il labbro inferiore della ragazza all’età di 15-16 anni: da allora in poi è una bansanai (“in età da marito”). Da notare: in Africa, le mutilazioni femminili, pur se fatte per assecondare gli uomini, sono propugnate, perpetrate e mantenute dalle donne.
Dolore e scomodità
Il taglio, doloroso di per sé, viene tenuto aperto da un inserto in legno fino a che non guarisca. È la ragazza a decidere quanto il labbro debba essere deformato: sta a lei inserire ogni notte legni sempre più grandi per un periodo di parecchi mesi. Come riferisce l’antropologo David Turnton, presente tra i Mursi dal 1969, «Nga Mokony e le sue tre amichette continuarono a farsi segare sezioni di rami, che poi intagliavano nella giusta forma con un coltellino». Gli inserti divennero sempre più grossi, passando in una settimana da uno a cinque centimetri, per arrivare dopo tre mesi a un diametro di dodici centimetri, dimensione nella norma.
Considerando che, per gestire piattelli così grandi, occorre rimuovere gli incisivi inferiori – con una lama e senza piangere –, le ragazze mursi devono essere motivate al massimo. Dolore e scomodità sembrano essere un fine e non un mezzo: tramite la deformazione e la sofferenza esemplificate dal piattello, la ragazza diventa pienamente donna, forte, fertile, e pronta al matrimonio.
Simbolo di classe
Esiste un campionario dei piattelli labiali. I tipi principali sono: rosso (dhebi a golonya), marrone (a luluma), nero (a korra) e creta naturale (a holla, “bianco”). I piattelli rossi, coperti dalla corteccia profumata di un albero di foresta, si ottengono sui carboni ardenti. I piattelli “bianchi” sono in terracotta, ma non sfregati con l’erba, che tinge di nero; il bruno si ottiene dalla combustione di una pianta medicinale che aiuta la cicatrizzazione delle ferite. Oltre a quelli in terracotta, esistono i rari piattelli di legno (burgui), fatti esclusivamente dagli uomini mursi. Con perversa ovvietà, sono considerati dalle ragazze non sposate come i migliori, i più grandi e i più belli.
Alcune ragazze non riescono a sopportare il lungo periodo degli allargamenti progressivi del foro e, per paura di stracciare il labbro, possono decidere di non praticarvi alcuna incisione o di inserire un bottone labiale molto piccolo. Ciò, però, causa imbarazzo, in quanto «è cattiva condotta». Una fanciulla senza piattello si sentirà a disagio in presenza di ogni uomo, poiché vulnerabile se «a labbro aperto». Il fatto mi è stato sottolineato da alcune donne anziane che additarono la fretta di una sposina nel posare a terra il garchu, piatto in vimini per la polentina di sorgo del marito, o il kedem, la zucca di caffè o latte acido. «Le mancano l’operosità, la grazia, la calma, l’orgoglio della vera donna», dicevano.
Valore simbolico
I piattelli sono portati più di frequente da ragazze non sposate, o maritate di recente, che non da donne con figli. Le occasioni principali d’uso sono: mentre si serve il cibo al marito; durante le cerimonie; alle danze; per assistere ai duelli maschili coi bastoni (donga). Le ragazze in cerca di marito, comunque, esibiranno il piattello in ogni dove e occasione. A dimostrazione della funzione generativa del piattello labiale, una giovane sposa mursi, in attesa che il labbro si cicatrizzi perfettamente, vivrà con la madre anche per un anno prima di congiungersi sessualmente col marito. Dato che il piattello entra in gioco anche nella dote in vacche che il promesso sposo deve versare alla famiglia della ragazza, è economicamente ovvio quanto esso dimostri l’attaccamento di una ragazza al marito, alla cui morte, infatti, il piattello è gettato via e mai più inserito nel labbro deformato. Lo stesso avviene, temporaneamente, per ogni lutto famigliare.
Teorie sulla genesi
Gli antropologi hanno proposto tre teorie per l’origine del piattello labiale tra i Mursi. La prima afferma che la dimensione del piattello aumenta il valore del prezzo-della-sposa; dato che tale “cifra” è fissata in 38 vacche ben prima che la fanciulla inizi ad aprirsi il labbro, la connessione con un piattello di grandi dimensioni è ipotizzabile solo se diventa un asset in caso di asta tra due pretendenti. La seconda teoria parla di protezione dagli spiriti malvagi, ma nessuno sa definire chi siano e come stiano in relazione, neppure il kōmoru, il mago della pioggia. È stato scritto ovunque che i Mursi avrebbero appositamente reso dei “mostri” le loro donne per renderle inappetibili ai trafficanti di schiavi. Interrogati, i Mursi affermano di non aver mai sentito una storia simile. Questa terza teoria dice di più sul nostro modo di vedere il disvalore della deformazione come “disfigura”, che non sulla pratica stessa: pratiche simili si trovano ovunque nel mondo, per maschi e femmine.
Quasi dappertutto, però, sono le donne a subire l’influenza della modellistica corpo-sessuale elaborata dagli uomini.
Estetica e seduzione
Questo la dice lunga su come le donne forniscano un apporto evolutivo alla dinamica di popolazione: tramite una faccia-manufatto controllano la selezione epigamica, la scelta del partner – e quindi delle generazioni successive – in base alle caratteristiche esteriori. È il body fascism della chirurgia plastica, la trappola di modelli di bellezza impossibili da raggiungere senza farsi male. Come ha spiegato l’antropologa Shauna LaTosky alle ragazze mursi, «non c’è gran differenza nel doversi mostrare alle feste danzanti col tacco 12, oppure portare un piattello labiale della stessa misura durante i duelli donga».
La prima volta che visitai l’area dell’Omo, negli anni Ottanta, per i Mursi la fotografia era anatema. Poi si passò alla conquista dell’immagine tramite mercificazione: dapprima spille e specchietti (sic), poi i birr, la moneta locale. Oggi, mi dicono, se ti presenti senza macchina fotografica rischi le botte, in quanto economicamente nullo.
Ossessione morbosa
Le donne con il piattello labiale sono, accidenti, il nostro principale obiettivo tra i Mursi. Oggi molte ragazze si rifiutano di praticare l’incisione tout court, come segno di modernità. Tra le donne anziane ciò equivale alla perdita dell’identità culturale. Questo è un concetto putrido, fonte di tutti i razzismi e di ogni guerra, che andrebbe abolito per legge in tutto il mondo; ma fino a che non saranno le vittime – le donne mursi – a ribellarsi, la pratica rimarrà.
La fine delle mutilazioni corporee è progressiva e autodecisa localmente. Per quanto ci riguarda, però, dovremmo smetterla di dar corda alla morbosa ossessione per la selvaggeria perduta, che più aliena e orrifica è, più merita una fotografia, un post, una pubblicità turistica o un articolo come questo. Nonostante i precetti contro il non-uso del piattello labiale tra i Mursi, oggi è considerato accettabile, anzi indispensabile, che una vedova indossi un piattello labiale (quello originale l’ha buttato alla morte del marito) per fare due soldi posando per le fotografie dei turisti. Bi Kalumi si chiedeva, l’ultima volta che l’ho vista: «Che succederà alla mia fotografia quando morirà mio marito? Si cancellerà da sé, il piattello labiale? Si vedrà il mio labbro aperto?».
Questo articolo è uscito sul numero 6/2021. Per acquistare una copia, clicca qui, o visita l’e-shop